toponomastiche furlane
In questa pagina ci occupiamo della toponomastica in lingua friulana che
numerosi Comuni cominciarono a porre su cartelli ben prima di normative sia
regionali che nazionali.
Non sfugga che il tema della toponomastica in lingua friulana era
stato oggetto di una proposta di legge regionale presentata ancora nel 1969, il
22 settembre (si veda "Ieri") dai 3 consiglieri del Movimento Friuli Schiavi, di
Caporiacco e Cecotto.
1980 - L’INIZIATIVA DELLA CLAPE CULTURAL "LA PATRIE DAL FRIUL"
Nei primi mesi del 1980, per iniziativa della clape culturâl La Patrie dal
Friûl, fu inviata a tutti i comuni del Friuli una lettera circolare invitandoli
a realizzare cartelli stradali in friulano, da abbinare a quelli ufficiali in
italiano.
Copia della lettera fu poi pubblicata sul numero 7/8 del periodico omonimo,
in luglio–agosto 1980. Della proposta si occupò anche il mensile “Int
furlane”, tra la fine del 1980 e l’inizio del 1981.
Preoccupava e faceva discutere il precedente, risalente al 1976, del comune
di Sappada/Ploden che aveva allora deciso di apporre segnaletica bilingue in
italiano e tedesco sappadino . La prefettura di Belluno era tosto intervenuta,
impedendo l’apposizione dei cartelli. Erano anche note le traversie toccate al
comune di Livinallongo, sempre in provincia di Belluno e sempre con quella
prefettura.
Si sosteneva però da più parti che in una regione a statuto speciale la
tabellazione bilingue era possibile; altri temevano che le prefetture, anche in
Friuli, potessero intervenire.
1981-1982 — L’ESEMPIO DAL COMUNE DI PRATO CARNICO
Il 29 settembre 1981 si riunì la giunta municipale del Comune di Prato
Carnico che attualmente ha poco più di 1.200 abitanti.
Questo piccolo comune di montagna, del quale era allora sindaco Gino Cleva,
iscritto al Pci, ha una notevole importanza nella vicenda della realizzazione e
esposizione della segnaletica stradale in friulano.
Era stata da poco approvata la legge regionale 8 settembre 1981, n. 68, e all’art.
25 di essa si riferì quella coraggiosa Giunta, considerando in particolare l’art.
25 della legge stessa “riguardante attività intese alla tutela e
valorizzazione della lingua e cultura friulana.”
La giunta presieduta da Cleva si richiamò alla “necessità di
realizzare, nel corso del 1981, l’iniziativa di evidenziare, con apposite
indicazioni, la toponomastica originaria” e quindi unanime deliberò la
spesa affinché, per mezzo di apposite tabelle, venisse evidenziata la
toponomastica originaria nei vari centri abitati della Val Pesarina, chiedendo
nel contempo il contributo regionale ai sensi della legge citata.
La delibera venne ravvisata legittima il 22 ottobre 1981 dal Comitato
provinciale di controllo. Il 12 dicembre dello stesso anno fu presentata al
consiglio comunale per la ratifica ed ottenne 10 voti a favore e 3 contrari.
Il 30 dicembre, la giunta municipale deliberò di acquistare dalla ditta
Verona Eligio di Magnano in Riviera 9 tabelle complete di piantane, con la
indicazione della toponomastica originaria dei centri abitati più importanti
della Val Pesarina, spendendo complessivamente L. 690.000.
All’inizio di giugno 1982 le tabelle furono sistemate e così si ebbero in
Carnia le prime indicazioni stradali bilingui italiano–friulano.
Le tabelle furono realizzate su fondo bianco, recando sopra il toponimo in
italiano e sotto, con stesso carattere, il toponimo in friulano, tabelle
completate dall’indicazione della altitudine del luogo e da quella comunale.
1982 — L’INTENZIONE DEL COMUNE DI TAVAGNACCO
Il Comune di Tavagnacco, importante e popolato comune alle porte di Udine,
essendo sindaco Silvano Tarondo, anche lui iscritto al Pci e anche consigliere
regionale, dava frattanto
segnali di voler similmente realizzare la tabellazione bilingue, sicché — sul
giornale “Il Gazzettino” — apparve, il 7 gennaio 1982, nella cronaca di
quel comune una nota intitolata “Il bilinguismo presto ufficiale”.
Anche la Filologica aveva successivamente inteso muoversi, promuovendo un
incontro di sindaci (alquanto disertato) e confermando, nel corso di un convegno
tenutosi a Timau, l’intenzione di riprendere l’argomento.
Il 4 settembre 1982 fu pubblicato sul settimanale diocesano di Udine, “La
Vita cattolica”, un articolo di Renzo Balzan, che aveva questo lungo titolo:
“Toponomastiche bilenghe ancje pal Friûl — E INTANT CHEI DI PRÂT A’
AN PROVÂT — Fin cumò son stadis fatis tantis propuestis. Si spere che l’esempli
di Prât al zovi par che ancje âtris comuns furlans si mòvin tal metisi su
tabelis in marilenghe”.
Questo articolo era stato preceduto da un altro, sempre di Balzan, (17 luglio
1982) nel quale sarcasticamente si osservava che, mentre non si ammetteva la
toponomastica in friulano, si ammetteva quella in tedesco, portando l’esempio
che, alle porte di Tolmezzo, di potevano leggere le indicazioni “Plöckenpass”,
“Autobahn”, “München”.
In quel tempo si rendeva evidente una azione che aveva le caratteristiche di
azione organizzata: si constatava la sistematica “correzione” — da parte
di sconosciuti — della tabellazione ufficiale, “correzione” generalmente
ottenuta mediante la cancellazione delle vocali finali dei toponimi scritti in
italiano, fatti sui quale ritorneremo più avanti.
È certo che, essendo prefetto della provincia il dr. Spaziante, il
coraggioso Comune di Prato Carnico fu il primo a realizzare la tabellazione
bilingue, con il beneplacito del Comitato di controllo e senza ostacoli da parte
della prefettura alla quale, forse, semplicemente sfuggì quanto era accaduto.
Successivamente, il presidente della Provincia di Udine, numerosi sindaci e
una ditta specializzata chiesero lumi alla prefettura medesima che fino al 31
agosto 1982 fu retta da Domenico Spaziante e poi dal vice prefetto vicario dr.
Pietro Palladino (Spaziante era andato in pensione).
Il 23 dicembre 1982, il consiglio comunale di Tavagnacco, all’unanimità
dei presenti, approvò una delibera con la quale si decise di porre, accanto
alle tabelle ufficiali in lingua italiana, tabelle toponomastiche in lingua
friulana.
Il Comitato provinciale di controllo, il 26 gennaio 1983 aprì una
istruttoria sulla delibera, osservando che era comunque necessario conoscere le
caratteristiche delle tabelle, poiché le stesse dovevano essere diverse da
quelle ufficiali (scritte bianche su fondo azzurro).
Al Comitato era pervenuto anche un ricorso contro la deliberazione,
presentato dal prof. Vincenzo Orioles, residente a Pasian di Prato, nato a
Messina e docente presso l’Università di Udine, il quale si era fatto
paladino di una causa sicuramente sbagliata e che sarebbe stata sconfitta.
Il Comune rispose il 25 febbraio 1983 e così il Comitato di controllo, il 3
marzo, ravvisò la delibera immune da vizi “purché le tabelle da
acquistare si diversifichino per formato e per colore da quelle previste dalla
normativa in atto per la segnaletica ufficiale.”
È incerto a chi spetti l’indubbio merito di aver pensato quindi a tabelle
con fondo giallo e scritte in azzurro, ispirandosi così ai colori della
bandiera del Friuli.
Fu una scelta felicissima. La quasi totalità delle tabelle successivamente
realizzate si adegueranno alla tipologia di quelle di Tavagnacco.
1983 — RISPOSTA DELLA PREFETTURA DI UDINE ALLE INTERPELLANZE DEI COMUNI
Frattanto, il 31 gennaio 1983 era arrivata la risposta della prefettura agli
enti interpellanti, risposta che vale la pena di riportare integralmente,
firmata dal vice prefetto dr. Palladino.
“Oggetto: Segnali di località — regime —
Questo Ufficio è stato sollecitato, da più parti, ad esprimere il proprio
avviso in merito alla richiesta di installazione, avanzata da alcuni comuni, di
segnali di inizio e fine località con scritte bilingui.
Quanto premesso, nel richiamare l’attenzione sul disposto dell’art. 87
del Regolamento del Codice della Strada, questo Ufficio non può, in questa
sede, che confermare quanto già più volte in passato è stato ribadito dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il citato Organo ha ritenuto opportuno, in proposito, rammentare l’esigenza
che in materia di toponomastica stradale, come in tutte le materie di interesse
generale, siano applicati in tutto il territorio nazionale ed in particolare,
nelle regioni di confine, criteri univoci che possono essere derogati solo da
espresse norme di legge (come in provincia di Bolzano); ciò allo scopo di
evitare il consolidarsi di usi locali poco opportuni sia sotto il profilo
normativo sia sotto quello politico, sia infine, sotto quello del rispetto del
principio della reciprocità nei rapporti internazionali.
Tanto si comunica per ogni opportuna valutazione.”
Questa risposta si legge sul numero del 26 marzo 1983 “La Vita cattolica”,
con una opportuna nota critica di Zuan Matalon (Gianni Nazzi).
SI MUOVE ANCHE IL COMUNE DI UDINE
Il sindaco di Udine avv. Angelo Candolini, recatosi alla festa del popolo
friulano per il mondo, a Einsiedeln, in Svizzera, aveva annunciato il
proponimento di provvedere ad una tabellazione storica della città, facendo
apparire su apposite tabelle, da affiancare a quelle in essere, le originarie
denominazioni in friulano.
Nacque, come in Friuli capita spesso, una polemichetta, avviata — sempre
sul settimanale diocesano — da Pietro Pinzano (Pieri Pincan) e ripresa con
una nota dallo stesso direttore del giornale, don Duilio Corgnali (17 settembre
1983).
Il 1 ottobre apparve la risposta in friulano, firmata da Angelo Candolini ma
redatta per lui, come è facile capire, da Gianfranco Ellero, che era (lo è
ancora oggi) il presidente della commissione comunale per la toponomastica.
Esposte le ragioni per le quali non sarebbe stato né opportuno né possibile
“cancellare” la attuale toponomastica per sostituirla, a tutti gli effetti,
con quella preesistente; ricordato che dalla elezione a sindaco di Candolini
molte delle nuove denominazioni di strade avevano fatto rivivere antica
toponomastica, si ricordava che il consiglio comunale aveva deciso di lasciare
le denominazioni in essere affiancando alle relative tabelle “gnovis
tabelis che ricuardin, fra ju nons antics, chei ch’a la vude la vite plui
lungje”.
La lunga vicenda legata alla realizzazione di queste progettate tabelle si
leggerà più avanti e si leggerà anche che l’attuale sindaco di Udine,
Cecotti, sulle colonne de "Il Friuli", ebbe poi a definire “folcloristiche”.
Proclamava l'intenzione di sostituire in toto la toponomastica in
italiano, azzardata promessa che è rimasta tale, almeno fino ad oggi.
FRIULANO ALLO SPRAY
È di questo periodo l’insistente azione condotta da sconosciuti, individui
o gruppi, tendente a “correggere” (talvolta compiendo anche grossolane
storpiature) i cartelli stradali recanti indicazioni in italiano.
Questa azione irritò quella parte dell’opinione pubblica cosiddetta
benpensante e trovò diversi echi sui giornali.
Anche il settimanale della diocesi di Udine pubblicò alcuni interventi. Ci
appare singolarmente limpido il breve commento del direttore, don (oggi
monsignore) Duilio Corgnali, apparso il 17 settembre 1983:
“La proposta (per ovviare all’azione
dei cosiddetti friulani allo spray — n.d.a.) è molto semplice e più volte
avanzata nelle sedi competenti anche da chi non adopera lo spray: ripristinare
la toponomastica originale, cioè in lingua friulana, con a fianco — posto che
lo Stato è italiano — la dicitura in lingua italiana.
È questo l’unico discorso serio, e l’unico ‘metodo logico’ per
togliere a ‘quell’esercito’ lo spray di mano.”
LE TABELLE IN FRIULANO VENGONO POSTE NEL COMUNE DI TAVAGNACCO
Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, il comune di Tavagnacco —
che come abbiamo scritto aveva deliberato le tabelle in friulano fin dal 23
dicembre 1982 — poté esporle nel capoluogo e nelle frazioni.
Successivamente, senza incontrare più ostacoli neppure dalla prefettura (era
stato nominato prefetto, il 12 maggio 1983, il dr. Francesco La Rosa) l’apposizione
delle tabelle proseguì in numerosi comuni.
Farne l’elenco è inutile, tuttavia va segnalata qualche polemica, questa
originata dalla grafia usata se difforme da quella della Società Filologica
Friulana (fu particolarmente accesa nel caso di Pozzuolo).
Dunque due amministrazioni comunali rette da sindaci del Pci (Prato Carnico,
Gino Cleva, e Tavagnacco, Silvano Tarondo) avevano aperto la strada alle altre.
1992 — FINALMENTE ANCHE IL COMUNE DI UDINE ACCETTA IN DONO E METTE IN OPERA TABELLE CON LA SCRITTA “UDIN — CAPITÂL DAL FRIÛL”
Lo statuto del Comune di Udine, deliberato dal Consiglio comunale in giugno
1991, prevedeva la denominazione di Udine anche in lingua friulana (Udin).
Lo stesso statuto affermava che Udine era “capitale del Friuli”. Va detto
che chi scrive (e anche Alberto di Caporiacco, allora consigliere comunale)
erano (e sono) contrari a che Udine si autodefinisca “capitale”, ma il
Consiglio comunale aveva deciso così.
Essendo quella la determinazione statutaria, si chiedeva ripetutamente al
sindaco, avv. Piero Zanfagnini, di far predisporre e collocare alle principali
strade di accesso alla città tabelle conformi a quelle ormai tradizionali
(fondo giallo, scritte in azzurro) con la scritta “UDIN — Capitâl dal
Friûl”.
Assicurazioni costanti da parte del sindaco, infiniti solleciti: nulla.
Il 3 aprile 1992, anche per festeggiare quella data che è ritenuta
anniversario della istituzione dello stato patriarcale della Patria del Friuli,
la famiglia di Caporiacco, che aveva fatto predisporre dalla “Segnaletica
Buiese”, a proprie spese, 6 tabelle, le portò al sindaco
Zanfagnini, il quale le accettò quale dono, impegnandosi a farle collocare al
più presto.
In effetti le 6 tabelle furono, nel mese di ottobre, collocate agli ingressi
cittadini in via Pozzuolo, via Martignacco, via Cividale, viale Venezia, viale
Tricesimo e viale Palmanova.
Non si registrò alcuna protesta né — a dire il vero — alcuna
esternazione di consenso.
1995 — FINALMENTE LE TABELLE TOPONOMASTICHE UDINESI, PENSATE NEL 1983, COMINCIANO AD ESSERE POSTE.
Morto il sindaco Candolini, gli erano succeduti
Bressani, Zanfagnini,
Mussato.
Per l’insistenza della commissione di toponomastica, e in particolare del
suo presidente, Gianfranco Ellero, la lenta macchina burocratica aveva
proseguito il suo corso, arrivando così a far predisporre un primo lotto di
tabelle da porre, accanto a quelle con le denominazioni ufficiali, nelle strade
e nelle piazze del centro storico di Udine.
Era la primavera del 1995 e, sindaco Mussato, per ironia del destino era
membro della giunta l’avv. Enzo Barazza, quello stesso che — insieme al suo
confratello di partito repubblicano Dario Barnaba — fieramente si era opposto
ai propositi di far apparire a Udine segni della cittadina friulanità.
Il destino si divertirà di più successivamente quando, diventato sindaco
Barazza, continuerà l’apposizione delle tabelle.
1996 — LE TABELLE “UDIN Capitâl dal Friûl” FANNO UNA BRUTTA FINE: VENGONO RIMOSSE
Barazza era stato eletto da una coalizione di centro–sinistra e, all’apparenza,
si era allora convertito alla friulanità (dichiarò ripetutamente alla stampa
che s’era messo anche a studiare il friulano).
Nel mese di ottobre 1996 il Comune di Udine avviò la procedura di rimozione
di tutte le tabelle, “UDIN — Capitâl dal Friûl”, preoccupandosi di
applicare con scrupolosa sollecitudine una normativa che prevede che per tale
tipo di tabelle segnaletiche i colori debbano essere diversi.
Invece, la quasi totalità dei comuni che hanno apposto simile tabellazione
continuò e continua a mantenerla. Ma Udine volle, in questo, essere la prima
della classe. Chissà perché.
La responsabilità della decisione fu solo amministrativa — ci fu detto —
o fu anche politica?
Noi insistiamo nel pensare che se le tabelle con quei colori non erano
rispondenti alla normativa, qualora vi fosse stata la volontà politica di
mantenerne il significato, non sarebbe stato difficile, prima della rimozione,
predisporre quelle conformi e quindi provvedere alla sostituzione.
Nell’aprile 1997, dopo reiterate insistenze, senza una qualsiasi
motivazione, le tabelle vennero restituite ai donanti. (Abbiamo scritto da tempo
all’attuale sindaco Cecotti per sapere se il Comune ne riaccetta una in
ri-dono per porla nel Civico Museo, per la posterità . Nessuna risposta).
Udine, dunque, in tutto il Friuli, è l’unico comune che ha prima messo e
poi tolto le tabelle in friulano e dobbiamo notare che — salvo qualche flebile
lamento apparso allora sulla stampa — anche i più tenaci paladini della
friulanità non hanno avuto nulla da dire.
1999 - SPUNTANO A UDINE TABELLE BIANCHE CON LA SCRITTA BILINGUE "UDINE-UDIN"
Eletto sindaco Sergio Cecotti contornato da una schiera di autonomisti
antichi, vecchi e novelli, ci si aspettava che di lì a pochi giorni Udine
rimettesse le tabelle “Udin” ai propri ingressi stradali, questa volta col
colore del fondo prescritto dalla normativa.
Bisognerà aspettare fin quasi alla fine del 1999.
E pensare che il sindaco, come s’è ricordato, aveva annunciato, poco dopo l’elezione, che “si potranno vedere indicazioni
bilingui in tutte le parti della città, evitando le iniziative prettamente
folcloristiche realizzate in passato (delle quali abbiamo reso conto - n.d.a.)
in alcune piazze del centro.”
Su questo punto gli aveva risposto il prof. Gianfranco Ellero, difendendo le attuali tabelle accusate di essere
folcloriche. Cecotti non prese botta, ma le “serie” tabelle ”cecottiane” non si sono ancora viste.
Sono comparse quelle agli ingressi della città, bianche e bilingui, ed è già
un passo avanti.
1999 - NUOVE TABELLE APPAIONO IN FRIULI E IN CADORE
Particolarmente significativa la tabellazione realizzata dal comune di Gemona
perché le tabelle sono state poste anche nelle frazioni. Queste sono con la
scritta in bianco su fondo marrone.
Ma il desiderio di far conoscere al passante la propria “piccola patria”
si è reso evidente anche Cadore.
In primavera, a cura della “Union dei Ladin de SanVido e d’oltreciusa“
- presentate debite istanze alla prefettura di Belluno, ai comuni, all’Anas
(senza ottenere approvazione ma neppure divieti)- a San Vito di Cadore, a Vodo,
a Valle (altri comuni, ci è stato detto, seguiranno l’esempio) sono stati
apposti i cartelli che appaiono nelle fotografie: bandiere di “piccole patrie”
che sentono il bisogno di farsi riconoscere dal passante.
Testo aggiornato di un articolo apparso su "Il Friuli" del 12 novembre 1999, n. 43, pag. 19