IERI, PER RICORDARE
35 anni fa, la prima battaglia per una facoltà universitaria in Friuli
Le vicende della battaglia per ottenere una o più
facoltà universitarie con sede in Udine hanno origini lontane se ci si riferisce a
richieste, auspici, perorazioni per ottenere qualche facoltà (particolarmente
magistero), ma sicuramente queste aspirazioni piuttosto generiche presero ben
diverso corpo nel 1965, 35 anni fa.
Le pubblicazioni che si occupano di quanto accadde tra quel 1965 e l' agosto
1977 (promulgazione della legge 546 che, all'art. 26, istituiva l'Università di
Udine) non sono molte.
Una, che si occupa dell' intero periodo, è una serie di interviste fatte da
Clara Rossetti a un certo numero di protagonisti ("L'Università di Udine,
eventi e personaggi della nascita di un ateneo", editore Cassa di risparmio
di Udine e Pordenone, Il Poligrafo casa editrice s.r.l., Padova, 1994); due sono
le edizioni de "L'Università friulana" di Gianfranco Ellero e
Raffaele Carrozzo, la prima del 1966, la seconda del 1967 (Grafiche Fulvio,
Udine); un' altra è "L'Università del popolo friulano", ancora di
Gianfranco Ellero, edita nel 1974 che rappresenta un completo panorama fino a
marzo di questo anno (Arti Grafiche Friulane, Udine) e la
più recente è "La lotta per l'Università friulana", opera postuma di Tarcisio
Petracco, edita da Forum Editrice Universitaria Udinese s.r.l., Udine, 1998, che
si occupa di queste vicenda dal 18 marzo 1971 fino alla scomparsa dell'autore, e
cioè anche oltre il 1977.
Nella presentazioni di quest'ultimo libro, il dott. Marino Tremonti liquida i
primi "due agili volumetti" ma anche il libro di Ellero (pubblicato
nel 1974) definendoli rientranti "nella preistoria". Secondo lui, poi,
"non è storia" il libro della Rossetti, "una giornalista venuta
da lontano e desiderosa di capire un esotico ambiente e una strana
vicenda."
Chi scrive si propone - con qualche inevitabile pedanteria - di ricostruire in
una prima parte quanto accadde dal 1965 a marzo 1971, ovvero a quando
entrò in scena il prof. Tarcisio Petracco il quale, pensando che il suo impegno
sarebbe durato un anno, sottopose ai colleghi insegnanti del Liceo
classico "Stellini" una petizione nella quale si plaudiva
"all'impegno recentemente assunto dal Consiglio regionale per la creazione
dell'Università di Udine." (op. cit. pagg. 4,5).
Nella seconda parte si occuperà del periodo dal 1971 alla primavera del 1973
(perché allora chi scrive cessò dalla carica di consigliere regionale e da
allora il suo ruolo fu necessariamente diverso).
Secondo Petracco (pag. 131 - Capitolo XVII - Mosse avversarie e diserzioni)
sempre chi scrive fu l' unico "disertore" dal suo comitato: quindi
toccherà spiegare le ragioni per le quali fui indotto a dimettermi.
Ma la ricostruzione dei fatti non terminerà con l' istituzione dell'
Università di Udine.
Come il lettore vedrà, non solo di questo argomento ci occupammo in
Consiglio regionale, in Consiglio comunale a Udine e sulla stampa per tanti
anni.
Arriveremo così fino al 15 dicembre 1999, giorno in cui fu promulgata la legge
482 "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche
storiche", promulgazione con la quale riteniamo si sia concluso il nostro
impegno, durato oltre 30 anni.
Non sembri ozioso che io tenti di rispondere a tre domande che
documentano e spiegano perché, ad un certo punto della mia vita, ai fatidici 33
anni, abbia cominciato ad interessarmi di politica friulana passando dalla porta
della storia.
Quando: nel 1965. Come: essenzialmente attraverso le colonne del quotidiano
udinese "Messaggero Veneto". Spiegare perché richiede un ragguaglio
un po' più lungo. Dal 1958 avevo cominciato ad interessarmi di storia della mia
famiglia della quale non sapevo praticamente nulla. Dalla storia domestica ero
necessariamente passato alla storia del Friuli e di qualche argomento, letto e
rimasticato, avevo cominciato, dal 1962, a pubblicare sul "Messaggero
Veneto". Mi aveva aperto le porte del giornale Alvise De Jeso, allora
capocronista; la collaborazione era gratuita (un panettone a Natale).
Ero ancora ben lontano dal subire il fascino del documento. Mi muovevo
essenzialmente nelle fonti scritte salvo che per una ricerca sui periti
pubblici, agrimensori, geometri dove assaggiai anche il gusto degli archivi.
Avevo però trovato un argomento che mi interessava particolarmente:
l'emigrazione friulana. Non si trattava solo di affrontare aspetti storici, ma
anche sociali e civili. Progettai di scrivere un libro (il primo volume uscirà
nel 1967; il secondo nel 1969).
Era, come detto, il 1965 ed avevo in cantiere, oltre al lavoro sui geometri, un
libro per il centenario del 1866 e un fotolibro (in collaborazione con Alvise De
Jeso) sempre per la stessa ricorrenza.
La regione Friuli-Venezia Giulia, la cui vita s'era avviata con le elezioni
della primavera del 1964, cominciava a scontrarsi con i primi ostacoli che
nascevano per la contrapposizione tra il Friuli e Trieste. E gli ostacoli più
difficili da superare si dimostravano quelli della localizzazione degli
assessorati e quello della localizzazione della facoltà universitaria di
medicina.
Nei programmi elettorali (specie in quello della Dc, allora partito che
raccoglieva grandi consensi) s'era scritto che questa facoltà sarebbe
stata realizzata a Trieste, ma a Udine non tutti erano d'accordo.
Le aspettative friulane di avere qualche facoltà universitaria, come si è
detto, erano da tempo
manifeste.
Già prima delle elezioni regionali, in marzo 1964, la Società Filologica
Friulana aveva riproposto che a Udine avesse sede una facoltà umanistica (si
pensava, ripetiamo, a magistero).
Il 7 ottobre, il consiglio dell'Ordine dei medici della provincia di Udine (che
allora comprendeva anche l'attuale provincia di Pordenone) richiedeva, con un
ordine del giorno, che Udine diventasse sede della facoltà di medicina. Le
forze politiche (e in particolare la Dc), si trovarono a dover affrontare un
ostacolo imprevisto.
Nacque un comitato, si andò a Roma a parlare. Da Trieste giungevano segnali
assai poco distensivi. In fondo, i triestini - a ragione - semplicemente
chiedevano che i politici rispettassero gli impegni.
Ma in Friuli (e a Udine particolarmente, anche perché qui vi era un ospedale
assai più moderno ed efficiente di quello triestino) si cercava di insistere. A
livello di Consiglio regionale, Renato Bertoli del Psdi, in maggio 1965,
presentò, facendola firmare anche ad altri (che poi l' abbandoneranno per
strada), una mozione per sostenere la creazione della facoltà di medicina a
Udine.
Ingessati i partiti, qualche voce si fece leggere principalmente dalle colonne
del "Messaggero Veneto" in particolare. Il quotidiano aveva - come ha
- una larga diffusione; altre voci, apparse su altri fogli, erano destinate a
risultare meno efficaci.
Il giornale era allora diretto da Isi Benini (che doveva firmarsi
"direttore responsabile incaricato" ovvero un direttore di transizione
tra il triestino Carlo Tigoli e Vittorino Meloni, che assunse l'incarico
all'inizio del 1966) e a questo giornalista va riconosciuto il merito di aver
dato spazio nelle lettere dei lettori a quelli che intendevano dire la loro,
quasi sempre mantenendo l'anonimato. Così "Calbano" (pseudonimo che
ritroveremo) si vide pubblicato un lungo intervento intitolato "La Facoltà
di medicina" il 20 agosto.
Il comitato presieduto dall'avv. Mario Livi si fece udire l' 8 settembre
("Udine non disarma per la facoltà di medicina").
Personalmente ero estraneo a questo dibattito. Esordii nel nuovo campo della
polemica sociale e politica determinato da due sciagure che avevano visto
vittime nostri lavoratori emigrati in Svizzera.
Così apparve, il 15 settembre, una lettera titolata "Friuli migrante"
che così si concludeva: "Ma, signor Direttore, troveremo l'energia
necessaria a vincere una apatia che condanna inesorabilmente il Friuli a
starsene buono buono ed a pagare (anche col sangue) l'ingiustificabile ignavia
delle nostre classi dirigenti?"
Il 21 settembre apparve - sempre nella rubrica delle lettere - lo "Sfogo di
un friulano" (firmato Luciano Pegoraro); il 24 due lettere senza
l'indicazione degli autori, titolate "Sfoghi di friulani" e "Cosa
si è fatto per il Friuli?".
Il 25 fu pubblicata un'altra mia lettera ("Questo Friuli"), che -
sempre insistendo sul tema della emigrazione - polemizzava non
troppo velatamente con la Filologica che si apprestava a celebrare il suo
congresso il giorno seguente.
A Gemona in sede congressuale ci fu un acceso dibattito, giornalisticamente riassunto da Alvise De
Jeso il 27. Si era discusso, tra l'altro, su due ordini del giorno, uno
presentato dal dott. Luigi Ciceri per chiedere l'istituzione a Udine della
facoltà di magistero (approvato all'unanimità) e uno presentato dal prof. don
Francesco Placereani per la facoltà di medicina (approvato con 66 sì e 32 no).
I soci triestini nel dibattito avevano manifestato la loro fiera
contrarietà.
Ed è a questo punto che divento interlocutore di alcuni friulani (che non si
rivelano firmandosi), che inviano al giornale una lettera (pubblicata l'8 ottobre, sotto il
titolo "Il destino del Friuli") e, prendendo spunto dal mio
scritto del 25, dichiarano di sentire il dovere di farmi sapere "da queste stesse colonne
che la sua voce di dolente friulanità non è caduta nel deserto; e diciamo che
molti si sentono amareggiati per questo 'atavico destino' a cui nessuno può
credere, ma che pure ci costringe a stare 'buoni buoni in un angolo buio e a
piangere'" (ripetevano parole della mia lettera). Rassicuravano che lo
spirito di ribellione "è già emerso o meglio è esploso, nel recente 42°
Congresso della Società Filologica Friulana, tenutosi a Gemona, come
onestamente ha registrato il Suo (si rivolgevano al direttore) giornale
nel numero del 27 settembre."
Insistevo. Il 9 ottobre veniva pubblicata un'altra mia lettera, titolata
"Il male dei friulani" e qui affrontavo anche il tema della facoltà
di medicina affermando: "E' vero che il congresso della Filologica ha
votato un encomiabile ordine del giorno, ma è anche vero che su 98 votanti 32
hanno detto 'no'."
Mi ero così "sposato" con il problema dell' Università in Friuli, un
tema che mi impegnerà - come vedremo - per diversi anni.
Frattanto gli onorevoli Armani, Lorenzo Biasutti, Toros (Dc), Fortuna e
Marangone (Psi), Zuccalli (goriziano del Psdi) e Taverna (Pli) avevano
presentato al ministro Gui una interpellanza tendente a sostenere l'istituzione
della facoltà di medicina a Udine. Il 13 ottobre il "Messaggero
Veneto" pubblica la lettera di "un friulano" compiaciuto,
titolata "Sintomi di risveglio".
E risveglio pare davvero perché quello stesso giorno il consigliere regionale
Emilio Del Gobbo (Dc), anche a nome dei colleghi friulani del suo gruppo,
illustrò una interpellanza "per la Facoltà di Medicina a Udine".
L'assessore competente Vicario lesse una lettera inviatagli dal rettore
triestino Origone. Del Gobbo si dichiarò "nettamente insoddisfatto per
quanto riguarda la Facoltà di Medicina e Chirurgia perché viene delusa ogni
aspettativa delle popolazioni interessate." Si disse invece soddisfatto
in merito al voto del senato accademico favorevole alla istituzione a Udine
della facoltà di magistero, dell'istituto aggregato di ingegneria, del biennio
propedeutico di ingegneria e del corso di laurea in statistica.
Numerosi gli interventi di lettori. Il 15 ottobre "un gruppo di
friulani" scrive "Per la facoltà di medicina" mentre la Camera
di Commercio esprime "Nuovo voto sulla Facoltà di medicina a Udine";
il 23 "Calbano", che si dimostra assai informato sugli avvenimenti,
scrive su "La Facoltà di Medicina". Il 29 torno sugli argomenti già
trattati col titolo "Prospettive per il Friuli".
Il 2 novembre si riuniscono i circoli goliardici a Udine: si decide di dare
inizio a una agitazione studentesca. Gli universitari vanno in Comune (li riceve
il vicesindaco).
Il consigliere regionale Renato Bertoli insiste. Presenta una nuova mozione per
ottenere a Udine la facoltà di medicina,
E' tutto un pronunciarsi di partiti, sodalizi, confraternite: tutti - a parole -
sono per Udine e per il Friuli. Ma si sta per consumare l'inganno.
Il 10 novembre si legge una lettera di don De Santa "assistente del circolo
universitario 'Clape furlane' " titolata "Lo sciopero degli studenti
per la Facoltà di Medicina". Giustifica un fatto (lo sciopero) che deve
ancora avvenire.
L'inganno ha bisogno di una sanzione clamorosa per essere meglio creduto. Quel
venerdì 12 il "Messaggero Veneto" pubblica una lettera di
"Fa" "I diritti del Friuli" e l'annuncio che per il giorno
dopo è indetta una grande manifestazione studentesca in favore della richiesta
friulana: La manifestazione ha talmente il clima della ufficialità che si
pubblicano persino gli itinerari che i bus cittadini seguiranno per non
intralciare il manifestarsi della ormai inutile e pilotata protesta.
Quello stesso giorno, rompendo gli indugi e con tempismo che ha sicuramente
bisogno di complicità friulane, i triestini istituiscono la facoltà
libera di medicina presso la loro Università.
Ma a Udine si fa finta di non sapere che la battaglia - dopo questa mossa - è effettivamente perduta: si vuol far credere che la manifestazione degli studenti
avrà un peso decisivo.
"Il Gazzettino" titola il giorno seguente: "Imponenti manifestazioni a
Udine, Tolmezzo e Cividale - DIECIMILA STUDENTI SFILANO INVOCANDO L' ISTITUZIONE
DELL' UNIVERSITA' FRIULANA - Hanno protestato contro la decisione dell'ateneo
statale di Trieste di aprire una facoltà libera di medicina. Reclamano il
diritto della Piccola Patria ad avere un complesso di istituti medi superiori, a
cominciare appunto da quello di medicina. Alzati cartelli che esortano le
autorità a difendere i diritti della nostra terra."
Gli universitari indirizzano una petizione a Saragat (allora Presidente della
Repubblica) al Governo e alla Regione. Praticamente tutti i partiti e i loro
esponenti - deputati in testa - fanno finta di essere inorriditi dalla mossa
triestina e pronti a vender cara la pelle (già venduta in precedenza per poco).
Tuttavia, convinti che ci sia ancora un margine, insistiamo. Il 15 novembre esce un mio articolo in terza pagina
intitolato "La città di Udine ebbe nel 1849 un piccolo ateneo di
medicina", pezzo corretto storicamente ma certo pensato in maniera
strumentale.
Ma ci sono anche voci contrarie. Alessandro Ortis, "consigliere nazionale
studenti ingegneria del Politecnico di Milano" afferma che le
rivendicazioni sono "solo di tipo tradizionale o, peggio, regionalistico"
(16 novembre). Insisto (il 17) con "Le colpe...dei friulani"; il dott.
Francesco A. Zani, il 18, si dichiara contro l'istituzione della facoltà
universitaria a Udine; gli risponde il 19 "un friulano"; il 20 si
pubblicano due lettere: una di "Colbano" e l'altra di "un gruppo
di friulani".
Il 21 novembre, in extremis (il 23 ci sarà la discussione in Consiglio
regionale sulla mozione Bertoli, presentata - come abbiamo visto - pochi giorni
prima) il giornale pubblica un mio intervento "La facoltà di
medicina" e uno di Anna Jus "per un gruppo di universitari tarcentini"
titolato "Questo Friuli".
Due giorni dopo si discute in Consiglio regionale e il 24 il "Messaggero Veneto"
titola: "LUNGA E POLEMICA IN ASSEMBLEA LA DISCUSSIONE SULLA FACOLTA' MEDICA
- Alla fine in presidente Berzanti ha detto che questo acceso capitolo può
ritenersi definitivamente chiuso - Contrapposizioni negli stessi
gruppi politici - Riconosciute al Friuli le sue esigenze e le legittime
aspirazioni culturali".
Personalmente cercai di far pubblicare un critico commento a questa conclusione.
Il mio amico Alvise De Jeso mi disse rattristato che il giornale considerava
chiusa la questione. Quel mio dattiloscritto ora riposa in una busta
depositata presso l'Archivio di Stato di Udine insieme a qualche altra carta di
cui dirò.
Il 2 dicembre gli studenti del Liceo classico e dell'Istituto d'arte scendono di
nuovo, questa volta senza preavviso, in piazza. Dalle 8 alle 10 girano per la città e poi entrano nelle
rispettive scuole. Il Provveditore agli studi, Giovanni Liuzzi, emette
prontamente un comunicato: avverte le famiglie degli alunni delle scuole
secondarie "che non saranno tollerate astensioni dalle lezioni per alcun
motivo". Contro gli studenti che non aderiranno all'invito "saranno,
da parte dei competenti organi scolastici, adottati severi provvedimenti
disciplinari."
Comincia a delinearsi la mano forte del potere. Dove stanno i parlamentari, i
consiglieri regionali, i partiti, le associazioni, le confraternite?
Il 4 dicembre a Udine accadono fatti che, almeno allora, hanno pochi precedenti
dalle nostre parti e per questi motivi.
"Terza manifestazione di studenti per ottenere l' Università a Udine - Un
giovane è caduto e ha riportato una contusione perché la polizia era
intervenuta per evitare che fosse bloccato il traffico in piazza. Quattro sono
stati interrogati e subito rilasciati" Così "Il Gazzettino". Il
"Messaggero Veneto" titolò "Avevano inscenato, dopo le lezioni,
una manifestazione - Parapiglia in piazza fra studenti e Polizia - Uno dei
giovani ricoverato in ospedale".
Il potere tira fuori il manganello (anche se la Questura smentisce categoricamente,
assicurando che "nessun ordine di caricare era stato dato").
Ma il "Messaggero Veneto" conta un ferito, G.M. di 18 anni, studente
dello "Stellini" (trauma cranico ed ematoma nella regione occipitale,
ricoverato in ospedale), qualche altro studente fattosi medicare da medici
privati, così come alcuni agenti e il commissario di polizia che guidava il
servizio rimasto con un' unghia della mano destra asportata.
Chi - come noi - fu in piazza quel giorno assistette ad una rabbiosa carica
della polizia. Il potere intendeva mostrare che chi comandava stava con Trieste.
La rabbia serpeggiò tra gli studenti. Il potere dovette tenerne conto il 9, 10
e 11 dicembre. Gli studenti, infatti, in più di diecimila, tornarono per le
strade di Udine. Non ci furono cariche da parte della polizia. Tuttavia il
Provveditore, che ricevette una delegazione di studenti, ripeté il suo monito.
E chi oggi qui scrive, pur essendo un semplice cittadino che non aveva un figlio
che partecipasse a quelle manifestazioni, il 15 dicembre ritenne doveroso
scrivergli, per sottolineare il diverso atteggiamento assunto
dalle autorità competenti nei confronti della manifestazione
"propiziata" del 12 novembre e quelli, assai diversi, assunti nelle
successive manifestazioni.
Il Provveditore, dimostrando una straordinaria sensibilità, rispose quello
stesso giorno: " Come Ella certamente sa, l'istruzione universitaria esula
dalla mia competenza, che riguarda esclusivamente le scuole elementari e
secondarie. Naturalmente ben diversa è la mia posizione di cittadino che vive e
opera ad Udine e che, come tale, non può non sentire, nel mio caso, in senso
favorevole il problema che attualmente agita la città. Come Provveditore agli
Studi ho dovuto indubbiamente occuparmi del turbamento che i tre giorni di
sciopero hanno arrecato al normale funzionamento della Scuola. Ma, a tal fine,
nessun ordine, né avevo la competenza di farlo, è stato impartito ai Capi
Istituto circa la punizione da infliggere per le astensioni dalle lezioni degli
alunni. Come sicuramente sarà noto alla S.V., le punizioni disciplinari possono
essere inflitte dal professore, dal Preside, dal Consiglio di classe o dal
Collegio dei Professori. Al provveditore è devoluta la competenza a decidere
sui ricorsi che dovessero essere presentati da parte degli interessati. Premesso
quanto sopra, tengo a precisare alla S.V. che nessun danno reale sarà arrecato
agli alunni, proprio in considerazione dei motivi che li hanno spinti alla
manifestazione. La ossequio. Giovanni Liuzzi, Provveditore agli
Studi."
In qualche scuola, invece, furono presi provvedimenti. Mi scontrai per lettera
con il preside del "Marinelli" (anche queste carte si trovano ora
presso l'Archivio di Stato di Udine).
A questo punto affidiamoci alla cronologia degli avvenimenti
successivi,
così come compilata dalla Rossetti.
1966, 9 gennaio : nasce il Movimento Friuli.
18 febbraio: il
presidente della Regione, Berzanti, afferma che la Giunta si impegna a
promuovere dall'anno 1966-
1967 la facoltà di
Magistero a Udine.
22 marzo: il Senato
accademico di Trieste nega Magistero a Udine.
maggio: 1100 professori
delle scuole medie della provincia di Udine mandano a Gui una petizione per la
creazione
di una università
friulana.
Nascono i giornali
'Friuli d'Oggi '(n.d.r. - organo del Movimento Friuli), 'Friuli Universitario' e
'Sveaisi Furlan(s)'
Nasce il 'Comitato
studentesco per l'Università Friulana' che organizza presso la Sala Aiace un
pubblico dibattito
con i politici.
1967, 2 gennaio: primo ordine del giorno dell'Associazione Maestri Cattolici di
Udine per l'istituzione di una facoltà
umanistica, in
particolare Magistero.
4 agosto: il ministro Gui
si dichiara favorevole a istituire a Udine la facoltà, decentrata da Trieste,
di Lingue e
letterature straniere. Il
Senato accademico di Trieste accetta.
27 novembre: è istituito
con decreto prefettizio n. 6237 il 'Comitato Universitario' formato da Comune,
Provincia,
Cassa di Risparmio,
Camera di Commercio (n.d.r. - tutti enti e istituzioni udinesi). Nel 1973 si
aggiungono la
Provincia di Pordenone (n.d.r.
- istituita nel 1968) e l'Ospedale di Udine.
5 dicembre: il quotidiano
'Friuli Sera' (n.d.r. - fondato in maggio da Alvise De Jeso, giornalista che
aveva da poco
lasciato il quotidiano
'Messaggero Veneto' per dar vita a un proprio giornale) pubblica la mozione del
clero della
Arcidiocesi di Udine,
firmata da 529 sacerdoti, in favore, tra l'altro, del diritto dei friulani agli
studi universitari.
1968, 29 febbraio: convenzione tra l'Università di Trieste e il Consorzio per
il funzionamento a Udine della facoltà di
Lingue e letterature
straniere, convenzione poi istituita con decreto n. 1170.
marzo: il Consorzio
acquista palazzo Antonini.
(n.d.r. - Si entra in
clima elettorale; a maggio si terranno prima le elezioni politiche e poi quelle
regionali)
maggio: il ministro Gui a
Udine garantisce l'apertura della facoltà di Lingue dal primo novembre.
maggio: elezioni
politiche (n.d.r. - e, subito dopo, elezioni regionali; il Movimento Friuli, che
per la prima volta
si presenta agli
elettori, ottiene quasi 40.000 voti ed elegge 3 consiglieri regionali: uno in
circoscrizione di Tolmezzo,
Fausto Schiavi, e due in
circoscrizione di Udine, Corrado Cecotto e Gino di Caporiacco.)
1 agosto: primo sportello
della segreteria studenti in palazzo Antonini: 520 iscritti."
La cronologia di Clara Rossetti - a questo punto - salta al 28
gennaio 1971.
Non vi è quindi traccia dell'azione che i 3 consiglieri regionali del Movimento
Friuli condussero nel frattempo nella sede istituzionale.
Questi, già il 22 ottobre 1968 (nel libro di Gianfranco Ellero, "L'
Università del popolo friulano" (pag. 45) si indica "settembre",
ma il documento fu presentato il 22 ottobre), avevano depositato una mozione
nella quale, con diverse argomentazioni, affrontavano il tema dell'istruzione
universitaria nella regione. La mozione, però, anche se ripetuti furono i
solleciti perché venisse discussa, verrà posta all'ordine del giorno dei
lavori del Consiglio solo molto più tardi, come vedremo.
Il 16 aprile 1969 Il Consiglio discusse anche una mozione presentata dai
3 consiglieri del Movimento Friuli con la quale si intendeva garantire alla
neonata facoltà di Lingue e letterature straniere aperta a Udine uno sviluppo
su basi moderne e di avanguardia, proiettata verso il mondo slavo e germanico.
Nella discussione dei bilanci consuntivo per l'anno 1968 e preventivo per l'anno
1970, svoltasi tra l'11 e il 26 novembre 1969 (poi legge regionale n. 40/1969),
essi presentarono un ordine del giorno (n.9) nel quale si leggeva:
"considerato che - tra gli impegni prioritari della Giunta - vi è
l'impegno di garantire, il più possibile, il diritto allo studio;
constatato che Udine - da un anno sede di una Facoltà Universitaria - ha dato
prova di essere particolarmente idonea per attrarre notevoli aliquote di
studenti, molti dei quali avrebbero dovuto rinunciare alla prosecuzione degli
studi a livello universitario, se non fosse stato loro consentito di accedere,
sia pure ad una sola Facoltà, situata nella capitale del Friuli;
valutato positivamente tale fatto, anche come palese dimostrazione che ad una
moltiplicazione dei centri universitari (per altro largamente attuata in altre
regioni) corrisponde obiettivamente una spinta alla elevazione culturale e
quindi un effettivo esercizio del diritto allo studio;
( il Consiglio regionale) impegna la Giunta
a potenziare, con le strutture e i mezzi necessari, la Facoltà di Lingue e
Letterature Straniere con sede in Udine (....)"
Questa parte dell'ordine del giorno venne posta in votazione per divisione e fu
approvata.
Non così la parte che seguiva:
"impostando - nel contempo - la soluzione del problema di una
pluralizzazione delle Facoltà, essendo evidente che il problema dell'istruzione
universitaria in Friuli e quindi di un futuro sviluppo socio-economico della
Regione è strettamente legato alla creazione di un nucleo universitario capace
di rispondere alla pressante richiesta dei friulani, figli di contadini, di
lavoratori e di emigranti, i quali intendono che il diritto allo studio non
possa più estrinsecarsi in una vana enunciazione retorica ma al quale debba
corrispondere un effettivo impegno, sganciato da ogni ipoteca
accentratrice."
Il presidente della Giunta, Berzanti, giudicò questa parte del documento non di
competenza della Regione. Posto ai voti fu respinto a grandissima maggioranza
(lo votarono solo i proponenti).
E' evidente che - al di là di talune ambiguità di espressione ("nucleo
universitario"..."sganciato da ogni ipoteca accentratrice"),
questo fu il primo segnale - in una sede istituzionale - che una parte dei
friulani intendeva si costituisse una Università autonoma per il Friuli e non
una o più facoltà decentrate da Trieste.
Ritualmente, l'anno seguente, si discussero i bilanci consuntivo 1969 e
preventivo 1971, tra il 18 e il 27 novembre 1970.
Fu allora presentato un altro ordine del giorno (n. 32) che, nella premessa,
altro non era che la copia aggiornata (due anni al posto di uno) di quello del
1969.
Ma adesso si impegnava la Giunta "a potenziare, con le strutture e i mezzi
necessari, l'Università friulana."
Uscendo dalle ambiguità lessicali, per la prima volta in un documento del
Consiglio regionale si indicava l'obiettivo della Università del Friuli.
Il presidente della Giunta, certo non inconsapevolmente, perché chi ha
conosciuto Alfredo Berzanti sa bene che era attentissimo a valutare il
significato politico anche delle virgole, dichiarò di accogliere in toto
l'ordine del giorno, specificando che la Giunta lo accoglieva ma "come
raccomandazione, nel quadro, naturalmente, della riforma universitaria che
speriamo venga avanti."
Fu quella la prima volta che sulla strada che si stava tracciando per giungere
alla istituzione di una Università autonoma del Friuli si toglieva il masso
pregiudiziale della unicità della sede triestina, affidandosi alla riforma
universitaria della quale si auspicava il progredire.
Torniamo alla cronologia di Clara Rossetti
"1971, 28 gennaio: occupazione della facoltà di Lingue per ottenere un
terzo professore di ruolo, la mensa, gli alloggi (n.d.r.-
a parere di chi
vide da vicino quella occupazione, con il pretesto di ottenere ciò che indica
la Rossetti, elementi infiltrati
tra gli studenti
friulani tendevano a far credere che quella facoltà andava chiusa perché non
riusciva a funzionare e che
quindi
l'esperimento di una facoltà universitaria a Udine era fallito.)
2 febbraio: Antonio
Comelli, assessore regionale all'agricoltura, dichiara imminente l'istituzione
di una facoltà di
Agraria a Udine. (n.d.r.-
fu questa una risposta politica anche a quel tentativo attuato attraverso
l'occupazione di
pochi giorni prima:
si intendeva andare avanti e non certo tornare indietro.)
3 marzo: la Giunta
regionale approva una mozione presentata da Gino Di Caporiacco per promuovere
il potenzia-
mento dei corsi
universitari a Udine."
La mozione era stata presentata il 22 ottobre 1968, come abbiamo scritto,
firmata da Schiavi, da
Cecotto e da chi scrive, praticamente subito dopo le elezioni regionali. Aveva a
lungo dormito di un sonno produttivo, nel senso che il tempo aveva lavorato a
favore della proposta fondamentale che conteneva. Si trattava di un
documento che si diffondeva a illustrare le ragioni della presenza di una
Università a Udine, indicando "come attuale piano di massima capace di
avviare a soluzione questi problemi, i seguenti corsi universitari a Udine :
biennio di ingegneria, biennio di statistica, sezione staccata della facoltà di
magistero, biennio della facoltà di medicina o, in via subordinata, almeno il
suo secondo triennio ossia quello specialistico."
Come è facile notare, i proponenti riprendevano in gran parte quelle
indicazioni contenute nel voto del senato accademico triestino dell'ottobre 1965
poi rimaste lettera morta, aggiungendovi solo quelle riguardanti medicina.
Toccò a chi scrive impegnarsi quel 3 marzo 1971 per illustrare e sostenere la parte
conclusiva della mozione che suonava così:
"Il Consiglio regionale, essendo a conoscenza:
1) della grave condizione di sottosviluppo in cui si trova il Friuli nel campo
della produzione e dell'impiego di laureati;
2) delle gravi conseguenze negative che da ciò derivano, sia per l'effettiva
possibilità di un rilancio economico friulano che per una efficace lotta alla
emigrazione,
riconosce
1) che la facoltà di lingue, primo importantissimo passo nella giusta
direzione, è insufficiente alla soluzione del problema;
2) che quindi è necessario potenziare i corsi universitari a Udine, con fini
promozionali e antiemigratori.
Impegna pertanto la Giunta a promuovere urgentemente, per tutto quanto in suo
potere, il potenziamento dei corsi universitari nella città di Udine.
di Caporiacco - Cecotto - Schiavi"
A favore di questa mozione votarono i consiglieri della Dc (si astennero il
goriziano Cocianni e il triestino Ramani), quelli del Psdi, del Msi e del Pli.
Non ci fu nessun voto contrario, fatto questo assai significativo. I consiglieri
del Pci, del Psiup e del Psi, tre partiti che avevano sempre espresso
posizioni fortemente critiche (specialmente i primi due), sostenendo fino a quel
momento la unicità della sede universitaria a Trieste, si astennero.
Il settimanale del Movimento Friuli, partito al quale appartenevano i tre
consiglieri proponenti, titolò "La maggioranza friulana per l' Università
di Udine", dando nel contempo notizia che il 4 marzo (cioè il giorno
seguente) i professori Giuseppe Marinig, Alessandro Pighin, Gianfranco Ellero,
Licio Magrini, Anna Maria Zecchin, Grazia Costa Tonelli e Mara Marin, docenti
dell'Istituto professionale di Pordenone, sede coordinata di Spilimbergo avevano
firmato una petizione nella quale si riferivano plaudenti
"all'impegno recentemente assunto dal Consiglio regionale per la creazione
dell'Università di Udine (...)."
Così, riferendosi plaudente pure lui a quell'impegno, il professor Tarcisio
Petracco scendeva in campo per l'Università friulana il 18 marzo 1971, nella
sala professori del liceo classico "Stellini" di Udine.
Appaiono quindi bisognevoli di risposta le domande che egli pose e che si
leggono a pag. 134 del suo postumo libro (che abbiamo citato), domande
chiaramente riferite al nostro impegno personale: "Dal 1967 e fino a questo
'ieri' del 16 (sic) marzo 1971 che cosa avevano fatto essi più che presentare un paio
di o.d.g. al Consiglio regionale? Che cosa avevano ottenuto?"
Abbiamo dimostrato che, senza ombra di dubbio, chi scrive si è occupato del
problema dell'università del Friuli dal 1965 (e non solo dal 1967); abbiamo
anche dimostrato che almeno uno dei documenti anche da noi sottoscritti in
Consiglio regionale (dove entrammo nel 1968) era servito a far sì che il
professor Tarcisio Petracco scendesse finalmente anche lui in campo, plaudente
per quello che avevamo fatto, il 18 marzo 1971. Ma - fatto sicuramente più
rilevante - eravamo riusciti a convincere quasi tutti i partiti che a Udine,
bisognava solo dar tempo al tempo, sarebbe un giorno nata l'Università dei friulani.
Continueremo ad illustrare fatti e a presentare documenti per
chi avrà la pazienza di leggerci
ancora.
31 anni fa: le premesse per la tutela e
valorizzazione
della lingua e della cultura friulana (anche attraverso la Rai).
Torniamo al 1969 e occupiamoci di un altro argomento.
Due erano i temi peculiari che allora i tre consiglieri regionali del Movimento
Friuli portavano avanti: quello dell'Università friulana, come abbiamo visto, e
quello delle tutela e valorizzazione della lingua e della cultura friulana.
In quest'ottica avevamo presentato il 22 settembre 1969 la proposta di
legge n.82 (che non fu mai discussa, perché le proposte dell'opposizione spesso
rimangono nei cassetti!), che aveva il titolo "Istituzione di una
Commissione regionale di studio in materia di toponomastica", proposta di
legge che aveva lo scopo di affrontare un argomento che sarà oggetto (31 anni
dopo) di attenzione e soluzione nella legge nazionale 482.
Il problema dell'università trovò soluzione legislativa in sede parlamentare nel 1977
e in quella
legge furono posti anche i germi per la soluzione anche del secondo, questo -
come detto - solo alla fine del 1999.
Nel novembre 1969, in occasione della discussione dei bilanci, così come
avvenne per il tema dell'Università, fu presentato anche un ordine del giorno
(n. 11) che affrontava invece questo tema. "Considerato che -alla luce delle più
recenti esperienze pedagogiche - l'uso, da parte dei fanciulli, della lingua
madre dà loro la possibilità di esprimersi con maggiore facilità e
costituisce un motivo di arricchimento della loro sensibilità e della loro
cultura; preso atto con rammarico che vi è la tendenza, in vaste zone del
Friuli, ad abbandonare e quasi a bandire l'uso della lingua friulana negli asili
e nelle scuole elementari, specie da parte di insegnanti che provengono da altre
regioni, impegna la Giunta affinché faccia ogni passo necessario presso il
Ministero della Pubblica Istruzione allo scopo di ottenere assicurazione che ai
fanciulli sarà garantita la libertà di esprimersi in friulano, abbinando
opportunamente l'insegnamento della lingua italiana all'uso della lingua madre.
In particolare, poiché in quasi tutti i libri di testo adottati nelle scuole
elementari contengono grossolani errori storici, geografici e persino
linguistici sul Friuli, dà mandato alla Giunta di studiare l'opportunità di
incoraggiare l'adozione di libri di testo (anche sussidiari a quelli in uso),
libri di testo nei quali i nostri ragazzi possano cominciare a conoscere la
storia della loro terra, i costumi della nostra gente, i tesori della nostra
lingua.
Cecotto - di Caporiacco - Schiavi."
Questo documento consiliare ebbe la sfortuna di essere discusso in un
clima particolare, conseguente ad un duro scontro
avvenuto durante l'illustrazione dell' ordine del giorno n.10 (che seguiva il 9,
quello sull' Università, in parte approvato,come si è visto), ordine del
giorno che riguardava la pressione tributaria sul Friuli. Si scatenò su
quell'argomento un acceso scambio di battute tra consiglieri triestini e i tre
proponenti friulani; Schiavi fu richiamato all'ordine dal presidente; messo ai
voti l'ordine del giorno 10 fu respinto (votarono a favore solo i proponenti).
Il clima surriscaldato non giovò certo all'ordine del giorno n. 11, tuttavia il
presidente della Giunta Berzanti dichiarò"La Giunta non ritiene di avere
competenza per quanto riguarda la prima parte del dispositivo e perciò accetta
solo la seconda parte."
Era indubbiamente un successo, ma a Schiavi sfuggì la frase "Dovreste
vergognarvi!" cui seguirono "proteste e clamori", la proposta -
tosto approvata - di espellere Schiavi dall'assemblea e la sospensione della
seduta.
L'ordine del giorno, con la seconda parte accolta dalla Giunta, avrebbe potuto
essere posto in votazione ma, come si capisce, alla ripresa della seduta i
proponenti erano fuori dall'aula per solidarietà con Schiavi.
L'ordine del giorno fu quindi considerato decaduto per l'assenza dei firmatari.
Scrissi sul foglio sul quale era quel testo, foglio che ancora conservo,
"Caduto nella mischia".
A tanti anni di distanza, con riferimento a polemiche recenti, non si può fare
a meno d'osservare che s'introduceva la discussione su due ancora attualissimi
argomenti: "insegnanti che provengono da altre regioni",
"grossolani errori storici, geografici e persino linguistici"
contenuti nei libri scolastici.
Un anno dopo, in novembre 1970, si discussero i bilanci consuntivo per l'anno 1969 e
preventivo per il 1971.
I tre consiglieri del Movimento Friuli insistettero e presentarono questo ordine
del giorno (n. 38):
"considerato che - alla luce delle più recenti esperienze pedagogiche -
l'uso, da parte dei fanciulli, della lingua madre dà loro la possibilità di
esprimersi con maggiore facilità e costituisce un motivo di arricchimento della
loro sensibilità e della loro cultura; preso atto con vivo rammarico che vi è
una tendenza, in vaste zone del Friuli, ad abbandonare e in certi casi a bandire
l'uso della lingua friulana negli asili, nelle scuole elementari e medie, specie
da parte di insegnanti che provengono da altre regioni; impegna la Giunta
affinché compia ogni passo necessario presso il Ministero della Pubblica
Istruzione allo scopo di ottenere ampia assicurazione che ai fanciulli sarà in
ogni caso garantita la libertà di esprimersi in friulano, abbinando
opportunamente l' l' insegnamento della lingua italiana all'uso di quella
parlata.
Schiavi - di Caporiacco - Cecotto."
I tre proponenti avevano imparato qualche astuzia consiliare. Erano anche
riusciti a ampliare il raggio dei consensi. Stavano capendo che "per
vincere bisognava convincere". Per questo avevano presentato un ordine del
giorno che ricopiava solo la prima parte di quello presentato un anno prima,
insistendo con quella parte che il presidente della Giunta Berzanti aveva
dichiarato di non accettare.
Quel giorno (27 novembre 1970) erano decisi ad andare fino in fondo: avrebbero
chiesto la votazione. Avevano sufficienti elementi per sperare di poter
prevalere coi voti.
Ed ecco, dagli "Atti consiliari", quel che avvenne.
"Presidente. La parola alla Giunta sull'ordine del giorno n. 38, presentato
dai consiglieri Schiavi, di Caporiacco, Cecotto.
Berzanti, Presidente della Giunta. Non riteniamo possibile l'accoglimento
dell'ordine del giorno così come formulato, pur essendo favorevoli a studiare
iniziative che possano sviluppare nei fanciulli la conoscenza del friulano.
Presidente. La parola a uno dei presentatori.
di Caporiacco. Chiedo la votazione, signor Presidente.
Presidente. Pongo ai voti l'ordine del giorno n. 38.
(E' approvato)
(Trambusto in Aula)
Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.
Berzanti, Presidente della Giunta. L'impegno non poteva essere accettato dalla
Giunta, posto in questi termini: 'affinché compia ogni passo necessario presso
il Ministero della pubblica istruzione allo scopo di ottenere ampia
assicurazione che ai fanciulli sarà in ogni caso garantita la libertà di
esprimersi in friulano.' Quindi, non è che si chiedesse non so, di istituire un
corso di lingua friulana, ma che il fanciullo, parlando con l'insegnante,
anziché esprimersi in italiano, parli in friulano. Allora la lingua italiana
dove va a finire! Signori miei questo sta scritto nell'ordine del giorno. Se si
vuole altro, allora bisogna scriverlo diversamente."
(Trambusto in Aula)
Presidente. Io non posso ripetere la votazione di quest'ordine del giorno, è
stato votato e basta. Collega Cocianni, La prego!"
Berzanti, Presidente della Giunta. Ma volete che il fanciullo, interrogato in
geografia, in storia eccetera, risponda al maestro in friulano?
Presidente. La prego, Presidente della Giunta, mi lasci chiarire! Colleghi del
Consiglio. Vi prego di stare attenti agli ordini del giorno che votate. L'ordine
del giorno n. 38 è stato ormai approvato ed ora non posso assolutamente
ammettere ripensamenti."
E' del tutto evidente che per i ripetuti "trambusti in Aula", i
richiami di Berzanti ai suoi consiglieri di maggiorana (e non solo a quelli!),
il tentativo di far ripetere la votazione per serrare i ranghi, era accaduto
qualcosa di straordinario: quei tre consiglieri che di solito vedevano i
loro documenti sommersi dai voti contrari erano riusciti a capovolgere la
situazione. Con il concorso di un voto trasversale, che era passato tra i
consiglieri friulani della maggioranza e della opposizione, il loro ordine del
giorno era stato approvato. Quel lontano 27 novembre 1970 è un giorno da
ricordare: cominciò allora a costituirsi quella maggioranza che - servirono 29
anni! - farà approvare dal Parlamento italiano la legge "Norme in materia
di tutela delle minoranze linguistiche storiche". E di questo lungo cammino
ci occuperemo più avanti.
Sinceramente a chi scrive dispiace di non poter riferire i nomi dei consiglieri
che votarono quell'ordine del giorno. La tensione del momento, il numero
notevole di mani alzate, l'infelice aula (era utilizzata quella del Consiglio
comunale di Trieste) non gli consentirono di farlo. Ricorda, tuttavia, che
furono consiglieri friulani di ogni gruppo, meno che del Msi-Dn.
Occupiamoci ora di un argomento connesso che riguarda un problema ancora
insoluto e quindi di attualità.
Seguiva all'ordine del giorno n. 38 il n. 39, sempre a firma dei
tre.
"Considerato che tra i moderni mezzi di informazione e di diffusione della
cultura le trasmissioni radiofoniche e televisive hanno importanza primaria;
constatato che i servizi finora dedicati in particolare al Friuli dalla RAI-TV
Radio Televisione Italiana sono insufficienti nel settore radiofonico e
inesistenti in quello televisivo; rilevato che, attraverso la diffusione di
notizie inesatte, si tende ad accreditare talune tesi che visibilmente
contrastano con la realtà regionale, impegna la Giunta ad intervenire presso la
Direzione Centrale della RAI-TV nonché presso la sua sede di Trieste per
ottenere: a) un potenziamento dei programmi radiofonici dedicati al Friuli; b)
l'istituzione - almeno in fase sperimentale - di programmi televisivi dedicati
alla regione; c) una scrupolosa correzione di tutte quelle inesattezze che
tendono a falsare la realtà regionale, specie per quanto riguarda il Friuli
inteso della sua interezza geografica e storica.
Schiavi - di Caporiacco - Cecotto."
Ecco il resoconto negli "Atti consiliari" (pag. 7916).
"Presidente. La parola alla Giunta sull'ordine del giorno n. 39, presentato
dai consiglieri Schiavi, Cecotto, di Caporiacco.
Berzanti, Presidente della Giunta. La Giunta lo accoglie come raccomandazione.
(Battibecchi fra i Consiglieri)
Presidente. Collega Mizzau, basta, altrimenti interrompo la seduta e rimando
l'approvazione del bilancio a domani!
Ha chiesto di parlare il consigliere Gefter Wondrich. Ne ha facoltà.
Gefter Wondrich. E' inammissibile la lettera c): propone una specie di censura
che non è accettabile. Io chiedo che il signor Presidente della Giunta si
esprima su questo punto.
Presidente. La parola al Presidente della Giunta.
Berzanti, Presidente della Giunta. 'Impegna la Giunta ad intervenire presso la
Direzione della RAI-TV nonché presso la sua sede di Trieste per ottenere: a) un
potenziamento dei programmi radiofonici dedicati al Friuli; b) l'istituzione -
almeno in fase sperimentale - di programmi televisivi dedicati alla regione; c)
una scrupolosa correzione di tutte quelle inesattezze che tendono a falsare la
realtà regionale, specie per quanto riguarda il Friuli inteso nella sua
interezza geografica e storica'.
Su questo terzo punto io, francamente, non vedo quale possa essere l'intervento
della Regione, non certo quello di censura, come dice il consigliere Gefter
Wondrich; potrà essere semplicemente quello di richiamare l'attenzione della
RAI-TV su eventuali inesattezze. Tutto questo è quello che si può fare.
Comunque non diano alla questione un peso superiore a quello che ha."
Il Presidente diede la parola ad uno dei presentatori, che fu chi oggi scrive.
Non era certo prudente chiedere la votazione,
considerato che gli schieramenti si sarebbero ricomposti, dopo la contrastata
"libera uscita" del voto precedente.
Dissi, dunque: "Prendo atto delle prima dichiarazione del Presidente
Berzanti", cioè che Berzanti aveva accolto - senza riserve - il testo
dell'ordine del giorno.
L'anno seguente (novembre 1971), Schiavi ed io tornammo sull'argomento
presentando - sempre in occasione della discussione dei bilanci - un ordine del
giorno (n. 29) nel quale "riferendosi all'ordine del giorno accolto come
raccomandazione dalla Giunta discutendosi i bilanci di previsione 1971 e
consuntivo 1969, con il quale si sollecitavano interventi presso la RAI-TV Radio
Televisione Italiana affinché venissero potenziate le trasmissioni radiofoniche
dedicate al Friuli; ribadita l'importanza che dette trasmissioni hanno e la
necessità che la RAI-TV provveda ad una sollecita regionalizzazione dei
programmi, assicurando alle componenti politiche e sindacali locali di potersi
avvalere di questo insostituibile canale di pubblica informazione; impegna la
Giunta ad intervenire con decisione presso la Direzione Centrale della RAI-TV
nonché presso la sua sede di Trieste affinché sia messo in onda al più
presto, in ora opportuna, un notiziario in lingua friulana. Se, infatti, tale
lingua trova diritto di cittadinanza alla radio per quanto attiene trasmissioni
culturali e musicali, non si capisce perché non dovrebbe essere considerata
idonea e necessaria per la trasmissione di un notiziario diretto alla
popolazione friulana.
Schiavi - di Caporiacco."
Ecco, sempre dagli "Atti consiliari", come andò.
"Presidente. La parola alla Giunta sull'ordine del giorno n. 29, presentato
dai consiglieri Schiavi e di Caporiacco.
Berzanti, Presidente della Giunta. Mi sembra che a questo proposito valga il
discorso fatto dal relatore Mizzau nella sua replica; la Giunta, quindi,
accoglie la parte dell'ordine del giorno....
Baracetti. Il 'Gazzettino del Friuli-Venezia Giulia' trasmette già dei
programmi in friulano.
Berzanti. Presidente della Giunta. Esatto. La Giunta, dunque, è favorevole a
che si potenzino le trasmissioni culturali, musicali, eccetera, anche in lingua
friulana. Perplessità, invece, sussistono sul primo impegno chiesto alla
Giunta, quello cioé di mettere
in onda un notiziario in lingua friulana: su questo esprimo la contrarietà
della Giunta.
Presidente. La parola ad uno dei presentatori.
di Caporiacco. Chiediamo la votazione."
Il resoconto, letto così, lascia intendere che l'interruzione di Arnaldo
Baracetti alla dichiarazione di Berzanti fosse di assenso a quanto il presidente
della Giunta stava dicendo.In effetti, Berzanti - che era un politico
astutissimo - coglie l'interruzione come una conferma al suo dire.
Invece - e questa interpretazione trova sostegno in quanto Baracetti dirà
subito dopo per spiegare il mancato voto del gruppo del Pci - era da intendersi come affermazione che, in qualche (raro) caso,
la lingua friulana era usata anche all'interno dei notiziari e quindi poteva
ottenere spazio maggiore.
L'ordine del giorno venne posto in votazione. Baracetti stava
"lavorando" il suo gruppo perché il voto fosse favorevole,
almeno da parte di alcuni consiglieri, ma il complessivo voto contrario dell'assemblea venne
proclamato con grande rapidità.
E Baracetti (ecco la prova evidente di quello che abbiamo scritto) se ne
lamentò.
"Baracetti. Signor Presidente. Lei procede alle votazioni con eccessiva
rapidità: per questo abbiamo rinunciato a votare.
Presidente. Consigliere Baracetti, il Suo appunto non ha ragione di sussistere:
mi consenta, infatti, di ricordarLe che ho invitato tutti i Consiglieri a
prendere visione per tempo degli ordini del giorno.
Baracetti. Comunque poteva aspettare 20 secondi prima di dar luogo alla
votazione!"
Che cosa stava accadendo? Stava accadendo che i dirigenti del Pci della
federazione di Udine, sotto la
spinta principalmente dell'on. Mario Lizzero (che poteva contare sul suo
indiscusso prestigio personale di vecchio militante, di comandante partigiano,
di uomo che in seno al partito aveva avuto e aveva cariche importanti, di
parlamentare che aveva a Roma importanti collegamenti), ma anche di
uomini emergenti come Baracetti, stavano finalmente dando ascolto alla loro base
popolare friulana e quindi si stavano "spostando" su posizioni più
consapevoli delle esigenze dei loro elettori. Stava quindi nascendo in seno al
Pci quell'ala "friulanista" che otterrà importanti risultati
Questo "spostamento" (certo non facile, non celere, non
sofferto) si era allora evidenziato in Consiglio regionale in tre
votazioni che costituivano altrettante chiare prese di posizione responsabile:
sul problema dell'Università a Udine; su quello della difesa e salvaguardia
della cultura e della lingua friulana nella scuola; su questo delle trasmissioni
della RAI.
Anche nell'ingente gruppo della Dc (29 consiglieri su 61!) si stava aprendo
qualche crepa, ma si trattava di "casi personali".
Il partito, nel suo complesso, era ancora fermo. Lo vedremo poco più avanti,
quando riprenderemo il discorso sulla seconda Università.
Intanto, eccoci di nuovo a insistere, in quel novembre 1971, sul tema del
friulano lingua e cultura nelle scuole.
Ordine del giorno n. 33: "tenuto conto che il Consiglio - discutendosi i
bilanci 1969 consuntivo e 1971 di previsione - approvò a maggioranza un ordine
del giorno con il quale si impegnava la Giunta a compiere ogni passo necessario
presso
il Ministero della Pubblica Istruzione allo scopo di ottenere ampia
assicurazione che agli studenti sarebbe stata garantita in ogni caso la libertà
di esprimersi in friulano, abbinando opportunamente l'insegnamento della lingua
italiana all'uso di quella parlata; constatato che, se pur qualche segno
positivo si è notato (come, ad esempio, l'insegnamento della lingua friulana
tra le materie integrative delle scuole a tempo pieno, realizzatosi in provincia
di Pordenone), il problema, nella sua globalità, non è stato ancora
affrontato; impegna nuovamente la Giunta affinché intervenga con sollecitudine
e decisione presso il Ministero e le altre autorità scolastiche competenti
affinché 1) sia garantito che i docenti non influenzino, anche con minacce, gli
scolari e gli studenti che parlano friulano nell'ambiente della scuola,
inducendoli a ritenere questa lingua come infelice espressione di una loro
supposta inferiorità, il cui uso precluderebbe quello corretto della lingua
italiana, e quindi creando nei giovani una psicosi umiliante che si ripercuote
anche all'esterno dell'ambiente scolastico; 2) siano incoraggiati e sostenuti
quegli esperimenti didattici secondo i quali agli studenti viene, in particolari
casi, concessa la libertà di esprimersi anche durante le lezioni in friulano,
esperimenti validissimi specie se attuati nella scuola elementare; 3) siano
impartite precise disposizioni ai docenti affinché essi si rendano conto di
operare in un ambiente linguistico ben caratterizzato, giustamente geloso di un
patrimonio prezioso che costituisce -anche alla luce delle più avanzate
sperimentazioni didattiche - motivo di arricchimento culturale.
Schiavi - di Caporiacco."
Il Presidente della Giunta Berzanti, forse anche in considerazione che il clima
si stava surriscaldando (e vedremo perché) dichiarò di accogliere l'ordine del
giorno come raccomandazione.
Sull' Università friulana un passo
indietro...
Eravamo a pochi mesi da quando, plaudenti per l'impegno assunto dal
Consiglio regionale in marzo, anche il prof. Tarcisio Petracco era sceso in
campo, convinto - come scrisse - che in un anno tutto sarebbe stato risolto e
l'Università friulana sarebbe nata
Noi eravamo molto più scettici e prudenti e per questo avevamo presentato
sempre nel corso di quella discussione dei bilanci questo ordine del giorno (n.
31): "Considerato che - tra gli impegni prioritari della Giunta - vi è
l'impegno a garantire il diritto allo studio; tenuto conto delle dichiarazioni
della Giunta stessa, dichiarazioni secondo le quali le istituzioni universitarie
nella città di Udine rappresentano un fatto irreversibile; in presenza della
discussione alla Camera della legge di riforma universitaria, legge che -
secondo l'art. 3 già approvato - stabilisce la unicità della sede per ciascuna
università; esprime e dà mandato alla Giunta di esprimere con forza, nelle
sedi più opportune, la ferma volontà del Consiglio affinché la legge di
riforma garantisca che Udine possa diventare la sede dell'Università friulana;
ciò per corrispondere alla reale esigenza, manifestatasi a livello genuinamente
popolare, di una seconda Università regionale, da realizzarsi legata
strettamente a prospettive reali di sviluppo economico, sociale e culturale
delle nostre genti, in una visione di progresso e di espansione di tutto il
processo di scolarizzazione.
Schiavi - di Caporiacco."
Il consigliere regionale Vittorio Boschi, del Msi-Dn, udinese, aveva presentato
un ordine del giorno sull'argomento, ordine del giorno che era stato votato e
approvato. Berzanti - cercando di evitare l'ostacolo di quello nostro - esordì
dicendo:
"Berzanti, Presidente della Giunta. Mi pare che questo ordine del giorno
sia analogo a quello....
di Caporiacco. E' diverso, signor Presidente, perché permette al Consiglio e
alla Giunta di fare qualcosa subito.
Berzanti, Presidente della Giunta. Su questo argomento si è già votato;
comunque la posizione della Giunta è uguale a quella già assunta sull'ordine
del giorno n. 14.
Presidente. La parola a uno dei presentatori.
di Caporiacco. Signor Presidente, chiediamo la votazione del nostro documento
perché lo riteniamo sostanzialmente diverso da quello, già approvato, del
collega Boschi. Infatti, se la Giunta conferma il suo intendimento di
considerare irreversibile l'esistenza di istituzioni universitarie a Udine ed in
presenza di un articolo 3 della legge di riforme, già approvato, in cui si
stabilisce che la sede universitaria deve essere unica, noi pensiamo che con
questo ordine del giorno...
Berzanti, Presidente della Giunta. C'è anche l'articolo 64.
di Caporiacco. Esatto, e noi chiediamo appunto che il Consiglio e la Giunta si
impegnino a far sì che l'articolo 64 ci dia la garanzia della creazione di una
seconda università.
Ecco il punto in cui il nostro ordine del giorno è diverso da quello del
consigliere Boschi: con questo si può intervenire subito nella discussione che
è in corso alla Camera esprimendo una nostra volontà.
Berzanti, Presidente della Giunta. Una cosa è intervenire per chiedere che si
sia una seconda università, un'altra è intervenire per ottenere la
salvaguardia di quanto il Consiglio ha finora sostenuto, e cioè che Udine
continui a restare sede di studi universitari. Questo impegno la Giunta lo ha
preso e lo porta avanti anche nei confronti del Governo nazionale e del
Parlamento.
In questo momento, quindi, non crede di poter far altro. Tuttavia, si riserva di
rivedere tutto il problema quando si trovasse di fronte ad una legge che
spostasse i termini del problema stesso e quindi richiedesse un atteggiamento
diverso.
Presidente. I presentatori insistono per la votazione?"
Come vi sareste comportati voi, cari lettori? Di fronte ad un atteggiamento
così ondeggiante c'era in noi una consapevole certezza: la Giunta (e la
maggioranza politico-territoriale che le stava dietro) non era ancora
pronta per sostenere senza giri di parola l'istituzione di una seconda
Università: quella friulana.
Chiedemmo la votazione, fummo sconfitti e lasciammo negli atti del Consiglio
questo commento:"Cercate di guardarvi allo specchio alla mattina!" per
poi aggiungere, sul successivo ordine del giorno che riguardava la pressione
fiscale, "Siete vergognosi servi dei padroni! Anche a costo di essere
espulso dall'Aula, affermo che i democristiani sono dei servi!"
Mi rimbeccò il capogruppo Dc, Del Gobbo: "Noi non siamo servi di
nessuno!" e il battibecco finì lì.
...e poi uno avanti...
Tra dicembre 1971 e gennaio 1972 si discusse due volte quella che sarebbe
divenuta la legge regionale n. 5 del 1972.
Ormai in Consiglio regionale ero solo. Cecotto partecipava assai poco alle
sedute; Schiavi stava vivendo i suoi ultimi giorni.
Da luglio era gravemente malato e non aveva potuto partecipare ai lavori
consiliari, tuttavia i nostri documenti erano anche firmati con il suo nome (mi
aveva naturalmente delegato a farlo).
Presentai un ennesimo ordine del giorno (n.1): "esaminando il disegno di
legge n. 268 che - tra l'altro - prevede contributi per le attrezzature
universitarie; tenuto conto della reale esigenza, manifestatasi a livello
genuinamente popolare, di una seconda Università regionale, da realizzarsi
legata strettamente a prospettive reali di sviluppo economico, sociale e
culturale delle nostre genti, in una visione di progresso e di espansione di
tutto il processo di scolarizzazione e nel quadro di una reale riforma
universitaria, (il Consiglio regionale) fa voti affinché si delineino con
chiarezza di modi e di tempi gli strumenti atti a concretizzare questa seconda
Università regionale, senza preclusioni campanilistiche o spinte egualmente
campanilistiche, ma con la convinzione ferma di ricercare una migliore e più
giusta strutturazione universitaria a livello regionale, abbattendo steccati
municipalisti e baronie accademiche.
di Caporiacco."
A dimostrazione di una politica già altalenante, questo ordine del giorno fu
accolto dalla Giunta come raccomandazione. .
Di tutto questo nostro impegno durante il 1971 e all'inizio del 1972 nel libro postumo di Petracco non
c'è traccia. Egli si ricorda di me (ma avrebbe dovuto ricordarsi di tutti i
componenti allora quel gruppo consiliare, e cioè anche di Gianfranco Ellero,
Raffaele Carrozzo e Francesco Schiavi) per scrivere (pagg.14,15) "Il
Consigliere regionale Gino di Caporiacco, capogruppo del Movimento Friuli al
Consiglio comunale di Udine presentava (in luglio - n.d.a.) un documento
invitante il Comune 'a impegnarsi per ottenere a Udine, per tutto il
Friuli, una sede completa e autonoma'." Ubi minor..sarebbe proprio il
caso di commentare!
...e nasce il comitato...
Il 10 febbraio 1972 si fonda il "Comitato per l'Università friulana"
e viene eletto presidente il prof. Tarcisio Petracco.
Pochi giorni prima, il 23 gennaio, era morto Fausto Schiavi, l'uomo che mi aveva
indotto a presentarmi candidato alle elezioni regionali, che mi aveva
"regalato" il seggio optando per la circoscrizione di Tolmezzo (era
stato eletto sia un quella di Udine che in quella della Carnia). L' uomo con il
quale avevo instaurato un rapporto saldo e franco, che - seppure gravemente malo
dall'estate del 1971 - era stato sempre idealmente al mio fianco.
Il Movimento Friuli, subito dopo, era già una barca in balia delle onde, priva
di quella salda guida che Schiavi, anche se malato, aveva garantito. Aderii,
dunque, al "Comitato" a titolo personale. Del resto, già sapevo che
la mia "carriera" di consigliere regionale sarebbe durata ancora poco.
Così, il 25 marzo fui con Petracco, in piazza XX settembre, a schivare le uova
di un gruppo di estremisti di sinistra, alcuni poi ravvedutisi e oggi
autonomisti convinti. Nel suo libro, Petracco non ha potuto fare a meno (pag. 37) di
notarmi tra i pochi presenti (secondo la mia memoria, c'è persino qualche nome
di troppo!).
Tra il 12 e il 13 giugno, in particolare Gianfranco Ellero e chi scrive
sostenemmo in Consiglio comunale di Udine una estenuante "battaglia"
durata 9 ore (quando la seduta si chiuse era trascorsa una sera, una notte e il
sole era già alto) sul tema dell'università friulana.
Il sindaco Cadetto si era dimesso per protesta, avendo visto disattese le
promesse di un potenziamento della sede udinese; nella mattinata del giorno 13,
in Consiglio regionale, il presidente della Giunta, Berzanti, avrebbe dovuto
pronunciarsi sull'argomento. Era in atto - tra l'altro - uno scontro tutto
interno alla Dc, partito sia di Cadetto che di Berzanti.
Ellero ed io sostenemmo che le dimissioni di Cadetto andavano accolte, proprio
per mettere - il mattino seguente - Berzanti con le spalle al muro. Ma
nonostante il nostro impegno oratorio (giocavamo a stancare i nostri colleghi
consiglieri perché, assottigliandosi il numero dei presenti, che però non
doveva scendere sotto quello legale, c'erano più probabilità che il voto
sanzionasse l'accoglimento delle dimissioni del sindaco), per pochi voti le
dimissioni furono respinte.
Conclusa la seduta-fiume del Consiglio comunale, mi misi in automobile e
raggiunsi Trieste in tempo per l'inizio della seduta del Consiglio regionale,
che iniziò alle 9,30.
Quel giorno, mia moglie Milvia - che pure era una donna dotata di grande
ottimismo - poiché non ebbi il tempo materiale per farmi vivo con lei, temette
che mi fosse capitato qualcosa e solo dalla radio apprese, dopo mezzogiorno, che
avevo preso la parola anche a Trieste e che quindi ero vivo.
... e ancora passi indietro....
A Trieste il discorso di Berzanti fu una sorta di doccia scozzese. Prima di lui
l'assessore all'istruzione Bruno Giust aveva affermato che l'amministrazione
regionale aveva sempre riconosciuto la funzione "regionale"
dell'università di Trieste "la quale, proprio per tale funzione, ha
utilmente iniziato e dovrà consolidare e sviluppare ulteriormente anche le
articolazioni decentrate nella città di Udine." Berzanti corresse in parte
il tiro. Noi utilizzammo successivamente - come si vedrà - più volte quelle sue parole per puntellare nostri
successivi documenti.
Inoltre si registrò un mutamento importante. I consiglieri regionali del Pci
Cuffaro, Baracetti e Bosari (il primo triestino, il secondo del Friuli centrale,
il terzo del Friuli occidentale) avevano presentato una interrogazione (n.258,
"Atti consiliari", pag. 12999) nella quale, dopo critiche alla
Giunta, proponevano un dibattito in Consiglio "sul tema della necessità
di un piano per il potenziamento dell'Ateneo triestino e per porre su basi
concrete e serie, in legame con lo sviluppo economico della regione, quello
dell'istituzione a Udine di una seconda Università." Questa interrogazione -
compresa nel dibattito di quel 13 giugno - dimostrava che il Pci aveva allora
deciso di sposare la causa di due università nella regione.
Subito dopo uscii dal Movimento Friuli. Mi dimisi da consigliere regionale il
22 giugno. Il settimanale del Movimento Friuli annunciò quelle dimissioni
il 10 luglio (n. 22), auspicando: "Ci auguriamo che il Consiglio regionale
respinga le dimissioni e che Gino rimanga al suo posto almeno fino alla scadenza
del suo mandato, nel gruppo del MF o nella posizione che egli liberamente
deciderà di assumere."
Le mie non erano dimissioni "pro forma" e furono respinte non con
il consueto voto unanime. I consiglieri del Pci e del Psiup si
astennero ("Atti consiliari", pag. 13439). Sul quotidiano del Pci apparve
subito dopo un perfido articoletto che
preannunciava il mio passaggio nelle file della Dc. E invece restai quello che
ero e fin che rimasi consigliere regionale mi comportai come mi ero comportato
precedentemente, cercando di dare un seguito logico e produttivo a quelle
battaglie.
Il 13 luglio, da indipendente, presentai un ordine del giorno nel corso
del dibattito su una legge che si proponeva di sostenere lo sviluppo
dell'istruzione universitaria, la ricerca scientifica e corsi speciali.
"(...) tenuto conto nei precedenti dibattiti sull'argomento delle
istituzioni universitarie nella regione, dei voti espressi dal Consiglio in più
occasioni e, per ultimo, dalle dichiarazioni espresse dal Presidente della
Giunta regionale onorevole Berzanti il 13 giugno 1972 (ecco una prima
"strumentalizzazione" di quel barcamenarsi del presidente della
Giunta! - n.d.a.), impegna la Giunta: a) a
perseguire, per quanto di sua competenza, l'obiettivo di giungere
all'istituzione, quanto prima possibile, di una seconda università nella
regione, con sede in Udine; b) a individuare ed indicare concretamente nei
propri documenti programmatici (secondo piano di sviluppo socio-economico; piano
urbanistico) tale obiettivo; c) a svolgere presso il Governo e il Parlamento
tutte quelle azioni che ne garantiscano il raggiungimento, attraverso le
decisioni legislative e gli interventi finanziari di competenza statale; d) a
preordinare e a considerare l'articolazione dell'università di Trieste o
eventuali articolazioni di altre università venete a Udine (questo riferimento
è importante e va collegato con l'azione che stava svolgendo il comitato del
prof. Petracco; il lettore ne tenga conto perché lo riprenderemo più avanti -
n.d.a.) solo come elementi di un idoneo disegno che mira, nel quadro dello
sviluppo socio-economico di tutta la regione, non a dequalificare le istituzioni
universitarie triestine ed a creare a Udine strutture occasionali e
parassitarie, ma a garantire, in prospettiva, lo sviluppo nella regione di due
università, autonome ed efficienti, non in concorrenza tra loro per assicurarsi
questa o quella etichetta di prestigio, ma pronte a servire tutti i nostri
studenti, specie quelli residenti nelle zone del Friuli occidentale, del Basso
Friuli, della Carnia, del canal del Ferro e della Valcanale e delle vallate del
Natisone, aprendo così vere prospettive di progresso culturale, di reale
uguaglianza nell'esercizio del diritto allo studio, di seria qualificazione.
di Caporiacco."
Quel mio riferimento ad "altre università venete" sottintendeva in
particolare Padova. Non era un mistero che a Udine c'era chi trattava per
ottenere facoltà decentrate da quella università. Ramani (che era il relatore
della legge) disse ("Atti consiliari", pag. 13689)
"...l'università (di Udine) non deve nascere battendo le strade più
diverse, andando di volta in volta a Bologna o a Padova; essa deve venire alla
luce come una figlia dell' università di Trieste che, si voglia o no, è
l'ateneo regionale; una figlia che non sia divorata sul nascere dalla madre, o
una figlia che non divori poi la propria madre, come in natura talvolta
succede."
Nella illustrazione di questo ordine del giorno ebbi con il consigliere del Pci
Bergomas un vivace scambio di battute.
" di Caporiacco. Non era assolutamente un appunto, signor Presidente.(Mancava
dall'aula Berzanti - n.d.a.) Era
una constatazione con la quale intendevo sottolineare che la Giunta non ha udito
ciò che ho detto, e quindi l'onorevole Berzanti non può essersi trovato di
fronte alle proprie parole, come invece mi sarebbe piaciuto.(Era il riferimento
al discorso del 13 giugno - n.d.a.)
Bergomas. Ma occorre tanto per dire che hai cambiato cavallo!"
Bergomas intendeva riferirsi alla mia uscita dal Movimento Friuli e
supponeva , come il suo partito e il giornale dello stesso, che io stessi per aderire alla Dc.
"di Caporiacco. Collega Bergomas! Io non capisco....
Presidente. Non raccolga, non raccolga....
di Caporiacco. Mi consenta, signor Presidente, di replicare. Io non capisco,
collega Bergomas, perché tu, con una pertinacia certamente degna di una causa
migliore, ti ostini a battere un tasto stonato. Se questo ti diverte, continua
pure, tanto a me non dai fastidio; né mi interessa essere in pace con te o con
i tuoi compagni; mi interessa semplicemente essere in pace con la mia coscienza,
dopo di che non ho bisogno né delle tue etichette, né di quelle dell' 'Unità',
come non ho bisogno di attestati di benemerenza da parte di nessuno. Come io
faccio gli affari miei, così ti prego di fare i tuoi. E con questo spero che le
battute che tu, pervicacemente, continui a ripetere..
Bergomas. Già, ma anche tu non sei alieno!
di Caporiacco. E allora veniamo ai fatti!
Presidente. Prego, chiudiamo la parentesi.
di Caporiacco. No, signor Presidente!Veniamo ai fatti! Il tuo giornale, 'l'Unità',
caro collega Bergomas, il quotidiano che dice sempre la verità, mercoledì
scorso...
Bergomas. Si sforza di dire la verità!
di Caporiacco. ...mercoledì scorso mi attaccava, definendomi 'un portatore
d'acqua della D.C.'; il giorno dopo, quando io ho votato, per appello nominale,
unico qui dentro, un ordine del giorno presentato dal tuo partito e dal PSIUP,
'l'Unità' non l' ha nemmeno accennato. Il che significa che la verità, per
voi, coincide con l'opportunismo; il che significa che la libertà, per voi, è
una cosa sconosciuta, almeno la libertà di stampa.
Cuffaro. La stiamo studiando!"
Per la Giunta parlò l'assessore Giust. Poi dissi:
"Signor Presidente, egregi colleghi. Credo che l'ordine del giorno che ho
presentato abbia fornito l'occasione per un dibattito proficuo. Devo ringraziare
l'assessore Giust (Dc) ed il collega Ramani (Dc), relatore, per quanto hanno detto;
il collega Pittoni (Psi), con il quale ho amabilmente polemizzato; il collega
Bosari (Pci), per la sua adesione; e naturalmente i colleghi Boschi e
Morelli (Msi-Dn) che hanno aggiustato il tiro di una certa posizione: ecco, mi
sembra che a difendere l'ultima trincea del campanilismo triestino sia rimasto
soltanto il collega Morpurgo (Pli); questa la mia constatazione (...) Ritengo di
aver raggiunto lo scopo che mi era prefisso, e pertanto ritiro l'ordine del
giorno."
Era evidente che complessivamente la situazione politica si stava evolvendo in
senso moderatamente favorevole.
In novembre 1972 si discussero, come consuetudine, i bilanci.. Presentai 12 ordini
del giorno, riproponendo i temi che stavano alla base della azione del gruppo
consiliare al quale ero appartenuto, anche se poi ero rimasto solo.
Occupiamoci prima dell'ordine del giorno collegato al problema dell'università:
il n. 7.
"Il Consiglio regionale, discutendo i bilanci preventivo 1973 e consuntivo
1971; tenuto conto dei precedenti dibattiti sull'argomento delle istituzioni
universitarie nella regione, dei voti espressi dal Consiglio in più occasioni e
delle dichiarazioni rese dal Presidente della Giunta regionale onorevole
Berzanti il 13 giugno 1972, impegna la Giunta a) a perseguire, per quanto
di sua competenza, l'obiettivo di giungere all'istituzione di una seconda
università nella regione, con sede in Udine, nel quadro di uno sviluppo
coordinato dall'istruzione universitaria; b) a svolgere presso il Governo e il
Parlamento tutte quelle azioni che ne garantiscano il raggiungimento, attraverso
le decisioni legislative e gli interventi di competenza statale; c) a
preordinare e considerare articolazioni di istituzioni universitarie nella
regione solo come elementi di un idoneo disegno che mira, nel quadro dello
sviluppo socio-economico di tutta la regione, a non dequalificare le istituzioni
universitarie triestine e a creare a Udine strutture occasionali e parassitarie,
ma a garantire - in giusta prospettiva temporale - lo sviluppo nella regione di
due università, autonome ed efficienti, non in concorrenza tra loro per
assicurarsi questa o quella etichetta di prestigio, ma pronte a servire tutti i
nostri studenti, specie quelli residenti nello zone del Friuli occidentale, del
basso Friuli, della Carnia, del Canal del Ferro e della Valcanale e nelle
vallate del Natisone, aprendo così vere prospettive al progresso culturale, di
reale uguaglianza nell'esercizio del diritto allo studio,di seria
qualificazione.
di Caporiacco."
La svolta a sinistra e a destra.
Tenuto conto della evoluzione in atto nel gruppo consiliare del Pci e anche
della posizione che aveva assunto il consigliere del Msi-Dn, Boschi, pur
dichiarando di prendere atto delle dichiarazioni del Presidente della Giunta,
che ricalcavano quelle del 13 giugno 1972, chiesi la votazione.
Il risultato fu per qualche verso sorprendente: l'ordine del giorno non fu
approvato ma lo votarono, oltre a me, "il consigliere
Boschi ed i consiglieri presenti del P.C.I., astenuti i consiglieri Gefter
Wondrich e Morelli (anch'essi del Msi-Dn - n.d.a.); contrari i consiglieri dei
gruppi di maggioranza" (così negli "Atti consiliari", pag.
14537).
Secondo un mio appunto, votò a favore anche il consigliere D'Antoni che era
stato eletto per il Pri e all'epoca era nel gruppo del Psdi.