Ancora premesse per la tutela e valorizzazione
della lingua e della cultura friulana (anche a mezzo della RAI)
Come già si è visto, avevamo altri obiettivi che ci stavano a
cuore.
Per continuare a perseguire quello della valorizzazione della lingua e della
cultura friulana nella scuola ripresentai, con qualche piccola variazione,
sempre in quella seduta del 17 novembre 1972, un ordine del giorno simile a
quello presentato l'anno precedente e che era stato accolto dalla Giunta come
raccomandazione. Questa volta il presidente Berzanti lo accolse senza la riserva
"però sempre nei limiti delle sue competenze" (della Giunta).
Connesso a questo argomento, avevo presentato l'ordine del giorno n. 6: "Il
Consiglio regionale, discutendo i bilanci preventivo 1973 e consuntivo 1971;
avendo presente il testo della L.R. 28 agosto 1971, n. 43; tenuto conto che è
opportuno che anche agli alunni del primo ciclo della scuola elementare venga
distribuito un testo contenente elementari nozioni nello spirito della citata
norma; a conoscenza del fatto che già Enti (mi riferivo in particolare alla
Società Filologica Friulana - n.d.a.) hanno provveduto alla stampa di un primo
libro adatto allo scopo; impegna la Giunta a sostenere la massima diffusione
della pubblicazione già realizzata o di altre che venissero realizzate con
identico scopo.
di Caporiacco."
Berzanti accolse questo ordine del giorno come raccomandazione.
Sempre come raccomandazione, Berzanti accolse anche l'ordine del giorno n. 8:
"Il Consiglio regionale, discutendo i bilanci preventivo 1973 e consuntivo
1971; avendo presente il testo della L.R. 26 agosto 1971, n. 43, impegna la
Giunta ad interessare le Case editrici regionali e nazionali (anche attraverso
l'eventuale indizione di un concorso) affinché vengano al più presto
realizzati i libri di testo che dovranno essere distribuiti agli alunni del
secondo ciclo della scuola elementare e della scuola media dell'obbligo
di Caporiacco."
Altro obiettivo era quello della Rai-Tv .Per questo avevo presentato questi
ordini del giorno: (n. 9) "...tenuto conto che un discorso di fondo viene
portato avanti dalle Regioni a statuto ordinario riguardo alla regionalizzazione
dei programmi televisivi; considerato che anche i giornalisti della Rai-Tv che
operano nella nostra regione, con un documento in data 2.12.1971, hanno
dimostrato di volere che nella riforma dell'Ente radiotelevisivo si tenga
opportuno conto della necessità di regionalizzare le trasmissioni televisive;
impegna la Giunta a mantenere stretti contatti con le Regioni che intendono
portare avanti questo modo di concepire la Rai-Tv, affiancando con decisione
ogni azione che tenda a realizzare una sollecita realizzazione dei programmi
televisivi regionali, specie per il Friuli-Venezia Giulia, regione che ha
particolari esigenze culturali e di informazione, che vanno soddisfatte, nel
contesto di un arricchimento e di una doverosa salvaguardia di preziose
identità.
di Caporiacco." e (n. 10) "....riferendosi all'ordine del giorno
accolto come raccomandazione discutendosi i bilanci di previsione 1971 e
consuntivo 1969, con il quale si sollecitavano interventi presso la Rai-Tv
affinché venissero potenziate le trasmissioni radiofoniche dedicate al Friuli;
rilevato che frequentissimi sono gli errori (storici, geografici, di pronuncia
di toponimi e di cognomi) che tuttora si commettono in trasmissioni che
riguardano il Friuli, impegna la Giunta ad intervenire con la necessaria
decisione presso la Direzione centrale della Rai-Tv nonché presso la sede di
Trieste affinché 1) si curino maggiormente le trasmissioni in generale, tenuto
conto che il Friuli costituisce la maggior parte del territorio regionale; 2)
venga messa in onda, ad ora opportuna, un notiziario in lingua friulana. Al
riguardo va considerato che il gruppo ladino che risiede nel Trentino-Alto Adige
(così come si legge sul 'Radiocorriere') 'Duc i dis da leur: Lunesc, merdi,
juebia, venderdi y sada, dala 14 ala 14,20' ascolta 'Nutizies per i Ladins dla
Dolomites de Gherdenia, Badia y Fassa cun nueves, intervistes y croniches.' La
richiesta di un notiziario in friulano è caldeggiata dalla Società Filologica
e da tutti gli enti culturali friulani, anche perché non si capisce perché la
lingua friulana, che trova diritto di diffusione attraverso la radio in
trasmissioni culturali, musicali e di varietà, non dovrebbe essere idonea anche
per la trasmissione di un notiziario.
di Caporiacco."
Posto ai voti, l'ordine del giorno n. 9 fu approvato. Chiesi la votazione anche
dell'ordine del giorno n. 10 che venne approvato con 23 sì, 18 no e 4
astensioni.
Si apre la strada per la seconda università.
Il 14 febbraio 1973 iniziò la discussione del disegno di legge
"Interventi regionali per lo sviluppo delle attività culturali nel Friuli-
Venezia Giulia"; il 27 febbraio si chiuse la discussione generale e risultò che
erano stati presentati 8 ordini del giorno, il primo firmato da chi oggi qui
scrive.
Era un ordine del giorno "fiume" (si veda in "Atti
consiliari", pagg. 15575,15576) in quanto - dopo la breve premessa "Il
Consiglio regionale, discutendo il disegno di legge 'Provvidenze regionali per
l'istruzione'; tenuto conto dei precedenti dibattiti sull'argomento
dell'istruzione universitaria nella regione, dei voti espressi dal Consiglio in
più occasioni e delle dichiarazioni rese dal Presidente della Giunta onorevole
Berzanti il 13 giugno 1972 e il 17 novembre 1972 ("agganciavo"
un'altra sua apertura, sia pur cauta - n.d.a.), e in occasione della discussione
dei bilanci; a conoscenza che le sottonotate pubbliche amministrazioni,
enti, associazioni, sindacati, ordini e collegi professionali, associazioni di
emigrati, di studenti e di insegnanti, istituzioni, circoli e gruppi
culturali ...." - ed erano elencati ed erano parecchi.
Era questo, in buona sostanza, l'elenco degli aderenti - fino ad allora - al
Comitato per l'università friulana i quali "interpretano anch'essi la
volontà democratica, popolare ed unitaria degli abitanti le province di
Gorizia, Pordenone e Udine di ottenere, al più presto, una autonoma
università..."
Dunque, io ero allora qualcosa di più e di meglio per il comitato e per il
prof. Petracco che un semplice informatore (come appaio nel suo libro a pag. 48) e un passacarte (pag. 49),
così come egli mi ricorda nel giugno del 1972: con quell'ordine del giorno
rendevo noto al Consiglio regionale l'elenco completo e aggiornato degli
aderenti al comitato al 27 febbraio 1973. L'elenco, naturalmente, lo avevo avuto
da qualcuno. Me lo aveva passato Petracco?
Continuava quell'ordine del giorno riproponendo i punti a), b) e c)
dell'ordine del giorno discusso il 17 novembre 1972 e che era stato respinto, come si è detto.
L'assessore Bruno Giust, dopo aver argomentato in merito, dichiarò (pag. 15585)
di accogliere "come raccomandazione l'ordine del giorno presentato da
consigliere di Caporiacco (...)", che disse (pag. 15587): "Signor
Presidente, egregi colleghi. Ricordo che il 17 novembre 1972, allorché
presentai un ordine del giorno che, nella parte che impegna la Giunta, è
identico a quello che ho avuto l'onore di presentare in sede di discussione di
questo disegno di legge, la Giunta si pronunciò in maniera contraria. Oggi,
prendo atto con viva soddisfazione che la Giunta quello stesso ordine del giorno
che quattro mesi fa non aveva voluto accogliere lo accoglie come
raccomandazione. La mia soddisfazione, signor Presidente, è ancora più viva
dal momento che sono venuto a conoscenza del documento presentato dai colleghi
della maggioranza, Del Gobbo (Dc), Pittoni (Psi), Dal Mas (Psdi), documento che è stato
chiaramente illustrato dal collega Del Gobbo che ha parlato per tutti i
firmatari. Quest'ultimo ha detto testualmente - e io me lo sono andato a sentire
nel nastro magnetofonico - che oltre al potenziamento dell'università di
Trieste (che continuate a fregiare con quell'aggettivo di 'regionale' che il
Presidente della Giunta le ha negato), esiste anche l'impegno preciso di
costituire a Udine il secondo ateneo. Ecco, sotto questo profilo, io credo che
la data odierna, signor Presidente del Consiglio, sia veramente storica nel
lento procedere verso la soluzione del problema universitario nella nostra regione. Pertanto, mi dichiaro soddisfatto che la Giunta abbia accolto come
raccomandazione un' ordine del giorno che quattro mesi fa era stato respinto dal
voto della maggioranza del Consiglio."
E' evidente quanto sofferto e contraddittorio fosse stato fino a quel giorno
l'approccio che i partiti "nazionali" avevano avuto sul problema
dell'università del Friuli. Prima tutti contrari; poi qualche spaccatura a
destra, nel Msi-Dn (consigliere Boschi); poi la netta presa di posizione
dell'intero gruppo del Pci; adesso l'adesione - sia pure forse a denti
stretti - della maggioranza Dc-Psi-Psdi.
Ma bisognava insistere.
Clara Rossetti, nella già citata cronologia, pone sotto la data "1973, 27
marzo: ordine del giorno al Consiglio regionale di Di Caporiacco per una seconda
università, a Udine." Si tratta di una indicazione errata, dovuta a una
inesattezza dei miei appunti, ora rivisti: ciò accadde invece il 27 febbraio.
Anche nel libro di Gianfranco Ellero, "L'Università del popolo
friulano" (pag. 49)
c'è lo stesso errore sempre dovuto ai miei appunti
L' ultima discussione in Consiglio regionale durante la quale
riproposi testardamente il tema dell'università friulana fu quella riguardante
il programma di sviluppo economico e sociale del Friuli-Venezia Giulia per il
quinquennio 1971-1975 e il piano urbanistico regionale generale.
Questo dibattito iniziò il 10 aprile 1973 e si concluse il 19.
Il giorno seguente il prof. Petracco, "con sorpresa" (così scrive a
pag. 63 del suo libro) lesse sul "Messaggero Veneto" "che
il consigliere di Caporiacco aveva 'ritirato un suo ordine del giorno
sull'Università a Udine, dopo che il presidente Berzanti aveva ribadito la
volontà politica di risolvere il problema universitario nella regione, sulla
falsariga dei precedenti espliciti impegni della Giunta e di una valutazione
attenta delle conclusioni alle quali sarebbe giunta l'apposita Commissione
regionale!'"
A parte il punto esclamativo posto tra le virgolette (e quindi da Petracco
arbitrariamente attribuito al quotidiano!), va tenuto conto che allora io facevo
parte del comitato che lui presiedeva e quindi, anziché sorprendersi, poteva
rendersi conto, semplicemente chiedendomeli, dei motivi che mi avevano indotto a ritirare quell'ordine del
giorno. Forse non avrebbe avuto motivo per sobbalzare sulla sedia.
I fatti sono questi. L'ordine del giorno (n. 1, pagg. 16699, 16700) così
recitava:
"Il Consiglio regionale, considerato che nel programma regionale di
sviluppo economico e sociale per il quinquennio 1971-1975 e nel piano regionale
urbanistico si formulano ipotesi di evoluzione del sistema universitario; tenuto
conto che la Giunta regionale ha accolto come raccomandazione, nella seduta del
Consiglio regionale del 27.3.1973 (questa data, che pure appare negli
"Atti consiliari, è - come detto - errata: quell'ordine del giorno fu presentato
discutendosi il disegno di legge 387 e la proposta di legge 393, il 27.2.1973
-n.d.a.), un ordine del giorno
impegnandosi ...(e qui seguivano integralmente i punti a, b,.c del precedente
o.d.g. del 27-2-1973) .... considerando l'ampia convergenza di forze
politiche e popolari sul problema; impegna conseguentemente la Giunta ad
armonizzare le ipotesi contenute nei due documenti programmatici con gli impegni
assunti e le emergenti necessità dello sviluppo universitario, rispondendo
così adeguatamente ai bisogni della popolazione scolastica di tutto il
territorio regionale, in notevole percentuale costretta a frequentare
università fuori del Friuli-Venezia Giulia, e alla volontà popolare
chiaramente espressa.
di Caporiacco."
Il testo di questo ordine del giorno rispondeva alla nota strategia: muovere da
un risultato conseguito (l'accoglimento di analogo documento da parte della
Giunta meno di due mesi prima) e cercare di ottenere un risultato ancora più positivo.
Alla stragrande maggioranza delle persone di buon senso credo apparirà evidente
che - constatato che più avanti non si poteva andare - sarebbe stato solo da
sciocchi compromettere con un sicuro voto negativo dell'assemblea un risultato
in precedenza raggiunto.
Infatti, dichiarai (pag. 16748) " Io, signor Presidente, prendo atto
delle dichiarazioni del Presidente della Giunta e non potendo esporre l'ordine
del giorno ad un possibile voto negativo, lo ritiro!"
Ma si legga che cosa aveva detto Berzanti (pag. 16738): "Il problema vero
è che sulla base di quelle che saranno le risultanze della commissione di
studio che è stata insediata e che sta per concludere il suo lavoro
(commissione formata dalle rappresentanze della Regione, dell'università e
degli enti locali) si facciano tutti i passi necessari per dare agli studenti
che intendono frequentare l'università nella nostra regione, la possibilità di
avere nelle sedi più idonee le strutture universitarie. Noi in questo senso ci
siamo impegnati e stiamo portando avanti la nostra azione, senza volere né
precipitare i tempi, né porre remore che non siano effettivamente giustificate.
Io pregherei pertanto il consigliere di Caporiacco di voler prendere atto di
queste deliberazioni e di non insistere sulla richiesta di votazione."
Anche oggi, a distanza di tanti anni, mi pare di aver fatto bene a non insistere
nel chiedere una votazione - che certamente avrebbe "bruciato"
quell'ordine del giorno. Che poi, la mattina seguente, il prof. Petracco si sia
"stupito" (e questo stupore - pur a distanza di tanti anni abbia
voluto ricordare nel suo libro - non mi stupisce.
E che noi allora, sia pure ancora per qualche settimana (la seconda legislatura
era alla fine), cercavamo di non fare gli oltranzisti ma di svolgere una azione
politica alla quale eravamo stati chiamati dalla gente e per la quale eravamo
anche pagati..
Tra la metà del 1973 e la "diserzione" dal comitato Petracco (dicembre 1975)
Terminato il tempo in cui fui consigliere regionale rientrai -
senza traumi - nella vita "normale". Ero ancora consigliere comunale
di Udine, indipendente, insieme all'amico Gianfranco Ellero.
Sulla scena politica regionale si era registrato un fatto nuovo: dopo le
elezioni regionali della terza legislatura, dal 30 luglio 1973 era stato eletto
presidente della Giunta l'avvocato Antonio Comelli.
Berzanti, che pure era stato rieletto consigliere regionale, fu per circa un
anno e mezzo presidente del Consiglio.Mi pare ineludibile esprimere, a distanza
di tanti anni, un giudizio su questo uomo politico che noi vedemmo - entrando in
Consiglio regionale nel 1968 - come il "proconsole di Roma "
(definizione di Fausto Schiavi).
Non è qui il caso di esprimere un giudizio complessivo sulla politica di
Berzanti, uomo pragmatico e decisionista (e lo poteva essere anche
considerando che, specie nella seconda legislatura, i consiglieri Dc sedevano su
quasi la metà dei seggi).
Tuttavia, anche alla luce di questa "rivisitazione" degli avvenimenti
legati al tema dell'università friulana e della tutela e salvaguardia della
lingua e della cultura friulana, non si può non riconoscere che Berzanti ebbe
sicuramente la capacità di barcamenarsi, non ostacolando l'incerto evolversi
del problema, specialmente all'interno del suo partito e della maggioranza di
centro sinistra, ma cogliendo ogni occasione per lasciare che il difficile
processo maturasse in senso favorevole per il Friuli.
Non fu certo protagonista, uomo di punta, vessillifero (ma chi lo fu?), ma
accorto ad intendere i cambiamenti che certo non ostacolò.
Con l'elezione di Comelli noi ricordammo l'uomo che il 2 febbraio 1971, in un
momento particolarmente difficile nella evoluzione del problema universitario,
aveva coraggiosamente annunciato l'istituzione della facoltà di Agraria a
Udine, dando così un segnale preciso anche a noi. Non potevano anche
dimenticare, sul piano personale, che Comelli era stato uno dei due consiglieri
regionali (l'altro fu Enzo Moro) che aveva intrattenuto con noi, da quando
eravamo entrati in consiglio, un atteggiamento civile. Gli altri, tutti gli
altri, inizialmente nemmeno ci salutavano perché ci consideravano fuori dal recinto della
democrazia che loro s'illudevano di sorvegliare.
E così, tornati semplici cittadini, parlammo a Comelli di un quindicinale che intendevamo, Ellero e io,
fondare: il "Corriere del Friuli". Per il quale avevamo bisogno -
scrupolosamente secondo quanto previsto dalle leggi regionali - di ottenere un
contributo per coprire le spese di stampa. Così il 15 ottobre 1973 uscì il
primo numero di questo giornale che si pubblicò, tra molte difficoltà, fino al
1985 (si tenga presente che il 23 ottobre 1984 diventò presidente della Giunta
Adriano Biasutti, e con lui, da quelle colonne, certamente non eravamo soliti
esprimere tenerezze: chi ha orecchie per intendere intenda!).
Dai banchi del Consiglio comunale, ma specialmente dalle colonne di quel
giornale, Ellero e anch'io continuammo ad occuparci con testardaggine del
problema universitario.Avevo anche ripreso la collaborazione a
"Friuli sera" ( sospesa all'atto della presentazione della candidatura
al Consiglio regionale, in aprile 1968).
Ma testardamente continuavamo ad occuparci del tema dell'università.
Presentammo, il 9 maggio 1974, come semplici cittadini, una petizione
popolare "sulla istituzione in Udine di una sede di Università
autonoma".
La petizione fu discussa, insieme a mozioni, interpellanze e interrogazioni,
nella seduta del Consiglio del 9 luglio 1974.
Era stata decisiva la presentazione da parte del gruppo del Pci, ovvero del più
numerosi gruppo di opposizione, di una mozione nella quale - rompendo ogni
residuo indugio - ci si dichiarava apertamente per due sedi universitarie,
accettando tuttavia il principio (che si sapeva che nel tempo sarebbe
"saltato") della "non concorrenzialità".
Ci scrisse il 18 il presidente del Consiglio (era stato eletto a questa carica
Berzanti): "Al termine del dibattito apertosi sull'argomento dal Presidente
della Giunta regionale (nota - era stato eletto Comelli), l'Assemblea ha votato
un documento con il quale, nell'auspicare il potenziamento dell'Università di
Trieste, ritiene necessaria anche la creazione di un secondo Ateneo in
Udine."
Dunque, la strada era aperta!
Accadde anche un fatto imprevisto. All'inizio del 1975 cominciò a scricchiolare il
seggio di sindaco di Udine sul quale stava il prof. Bruno Cadetto. Di fronte
alle sue improvvise e impreviste dimissioni i partiti della maggioranza erano
spiazzati: bisognava trovare un sostituto per poco tempo, fino alle
imminenti elezioni. Si fece il nome di Angelo Candolini, ma i voti per eleggerlo
non erano sufficienti. Angelo Candolini era stato, negli anni precedenti, un
nostro fiero avversario. Aveva teorizzato che in Italia - e quindi anche nel
Consiglio comunale di Udine - esistevano partiti costituzionali (cioè quelli
che avevano discusso e approvato la Costituzione), un partito anticostituzionale
(il Msi-Dn), e un partito acostituzionale, cioé fuori dalla Costituzione, che
sarebbe stato il Movimento Friuli. Non occorre argomentare molto, specie alla
luce di quanto poi accaduto e accade nella vita politica italiana, per
concludere che quel suo giudizio era profondamente sbagliato.
In Friuli è facilissimo prendere cappello per poco (anche in questo scritto vi
è un esempio eclatante di tale atteggiamento!), ma né Ellero né io lo
prendemmo nei confronti di Candolini. Offrimmo, del tutto disinteressatamente, i
nostri due voti, determinanti per l'elezione del nuovo sindaco.
A distanza di tanti anni, entrambi siamo convinti di aver dato a Udine un grande
sindaco, un sindaco che ha contribuito non poco a portare avanti le iniziative
che condurranno ad ottenere l'università e l'approvazione della legge 482, nel 1999.
Eravamo, come si è detto, a pochi mesi dal rinnovo del Consiglio comunale. Sui
quotidiani locali comparve la notizia che la Dc udinese aveva in animo di
presentare Ellero e me candidati per la nuova tornata amministrativa.
Ringraziammo per l'attenzione, ma fermamente rifiutammo.
Così entrambi tornammo ad essere semplicemente cittadini, impegnati attraverso
le colonne del "Corriere del Friuli" entrambi e di "Friuli
sera" (particolarmente chi scrive) a proseguire le vecchie battaglie, ma
anche a cercare di evitare le derive del movimento al quale avevamo appartenuto.
Non mancarono, dunque, le polemiche con i dirigenti del Movimento Friuli ma
anche con parte del clero e - addirittura - con monsignor Arcivescovo di Udine, Alfredo
Battisti.
Continuavo ad essere aderente al comitato del prof. Petracco, comitato la cui
azione sembrava - anche a Ellero - piuttosto statica. Statica non solo per la
mancanza di dinamismo organizzativo ma, soprattutto, per la mancanza di
elaborazione di
una strategia politica. Il comitato, in sostanza, continuava a non tener conto
che i tempi stavano cambiando, ma soprattutto erano cambiati gli uomini ed era
mutata la posizione di quasi tutti i partiti. Quindi, alla posizione
"contro i politici e i partiti" andava sostituita una posizione più costruttiva. E certo non
potevano per noi definirsi costruttive quelle azioni che si manifestavano con i
contatti con l'università di Padova in particolare. Un altro punto di dissenso
era la richiesta di una serie di facoltà, tra le quali principalmente medicina, sostenendo che
non ci sarebbe stata università se non avesse compreso questa facoltà. A parte
il fatto che esistono, in Italia e in Europa, numerose università che non hanno
la facoltà di medicina, a noi questa insistente richiesta suonava come eco di
quella rivendicazione del 1965-66, che aveva dietro spinte e persone che noi ben
conoscevamo.
Per noi, invece, era essenziale comprendere i mutamenti avvenuti in seno ai partiti
politici (nel Pci, in particolare), cogliere i segnali che venivano da Comelli,
accettare anche soluzioni di compromesso temporaneo con Trieste.
In sintesi, possiamo dire che noi eravamo diventati possibilisti (avendo vissuto
la fase oltranzista); il comitato - nato, si ricordi, con la convinzione che il
problema poteva essere in breve e quindi facilmente risolto - era diventato
oltranzista.
Il 16 dicembre 1975 fui convocato come tutti i membri per ascoltare
la relazione del presidente sul "d.d.l. d'iniziativa popolare per l'
'Istituzione dell'Università statale del Friuli'" che si specificava
"proposto da un gruppo di aderenti a questo Comitato".
Si trattava, come è evidente, di discutere una proposta che rappresentava
unicamente il
progetto di un gruppo di aderenti.
Si aprì il dibattito e io trascrivo quello che il prof. Petracco espone a pag.
131 del suo postumo libro, sotto il titolo "Contromosse avversarie e
diserzioni".
"Lessi la relazione di presentazione della proposta di legge popolare, con
le motivazioni per le scelte delle facoltà richieste. Nel dibattito molto
animato che ne seguì, generalmente favorevole, vennero risolti i contrasti con
prè Checo Placereani; ma mi stupì la presa di posizione del geom. Gino di
Caporiacco."
Segue un incomprensibile "fervorino". "Egli era stato accolto con
soddisfazione di tutti tra i membri del Comitato per i suoi meriti nelle
agitazioni studentesche del 1966-67 in rivendicazione della Facoltà di Medicina
e per il suo fiero spirito combattivo."
La verità vuole che si chiariscano due punti: non ebbi alcun merito nelle
citate agitazioni studentesche (scrissi, come documentato, qualche lettera al
direttore del "Messaggero Veneto" e basta); non fui "accolto con
soddisfazione" da nessuno per il semplice fatto che fui partecipe della
fondazione del comitato, dove tutti i presenti non ebbero bisogno di
accoglimento.
Continuiamo a leggere Petracco.
"Ma in questa assemblea, dopo aver manifestato (com' è nel verbale) 'perplessità
circa la possibilità di far seguire alla proposta di legge il suo iter
senza un aggancio ai Partiti che hanno espresso nella seduta del Consiglio
regionale del 9.7.1975 il parere favorevole all'Università autonoma (il
lettore tenga conto che questo pronunciamento era uno dei frutti della nuova
politica di Comelli- n.d.a.) aggiunse di ritenere che si doveva 'tener conto
del progetto dei comunisti e che l'Università proposta (dal Comitato)
non assolverebbe il compito di valorizzare la cultura friulana e che essa
comporterebbe una spesa doppia nella Regione'; e dichiarò di volersi
astenere dal voto di approvazione dell'operato del Comitato."
Si tenga conto che non sono nelle condizioni di controllare il verbale citato
tra virgolette ma penso di poterlo sottoscrivere ad eccezione dell'ultima
affermazione che sicuramente è una distorsione del mio pensiero.
Quale era il mio delitto? Uno, magari solo, in quella assemblea aveva
espresso la propria opinione e - non opponendosi a quella della eventuale
maggioranza - dichiarava di non volerla condividere astenendosi. Gravissimo
delitto! Bisognava essere tutti d'accordo!
Ma qual era il mio pensiero? Pensavo che, con la proposta di legge di iniziativa
popolare - qualora la raccolta di firme avesse avuto lo sperato successo (il
comitato pensava di raccoglierne al massimo 50.000) - si sarebbe introdotto un
elemento di rottura tra l'azione dei parlamentari e dei loro partiti politici
(azione che, secondo me, stava evolvendo positivamente). Del resto neppure il
dr. Tremonti, uno dei membri di spicco del comitato, si dimostra tuttora
convinto che quella iniziativa non sarebbe stata decisiva. Ha scritto, infatti,
(pag. XII), commentando il successo della raccolta delle firme: "Avevamo
fatto un decisivo passo avanti, ma si sa che il nostro Parlamento (con scarsa
democraticità) non ha forse mai approvato una proposta di legge di iniziativa
popolare." Aggiunge "La questione era però ormai portata ad di fuori
del ristretto ambito locale e finalmente i nostri parlamentari poterono
inserire, sorretti dalla pressione che continuammo a fare, l'istituzione
dell'Università di Udine nella Legge per la ricostruzione del Friuli."
Insomma, in ultima analisi, senza l' impegno dei politici....
Torniamo all'assemblea del comitato. Continuiamo a leggere ciò che ha scritto Petracco.
"L'ing. Luigi Leita espresse vivacemente la sua meraviglia per quella
dichiarazione, che contrastava con le posizioni passate del di Caporiacco;
cosicché, dopo uno scambio di battute anche con i dottori Terenzano e Tremonti,
i quali stavano preparando l'o.d.g. di approvazione, il di Caporiacco, non
volendo dare il suo assenso, si allontanò dall'assemblea."
Vediamo - con documenti alla mano - quello che era accaduto. L'ing. Luigi Leita
- non so da chi ispirato - si era scagliato contro di me accusandomi di
collusione non solo con partiti politici ma anche con imprecisati "baroni"
universitari.
Andatomene (anche perché così garantivo quella unanimità gradita dai
convenuti, ma profondamente antidemocratica), scrissi il 17 a Petracco: "Egregio
Professore, a causa del clima di intolleranza evidenziatosi nel corso della
Assemblea Generale del Comitato tenutasi a Udine il 16 c.m., intolleranza non
solo verso le opinioni altrui, ma anche verso le altrui azioni (con particolare
riferimento a quelle passate), mi vedo costretto a rassegnare le dimissioni da
membro del Comitato, del quale sono stato onorato di far parte fin dalla
fondazione."
Mi rispondeva il 20 Petracco: "Egregio Geometra, prendo atto con rammarico
della Sua decisione di rassegnare le dimissioni da membro di questo Comitato,
considerando il Suo lungo e deciso impegno nella battaglia comune. Confido
comunque che Ella vorrà giudicare l'eventuale diversità di vedute sul metodo
dell'azione, come sui contenuti da noi proposti, meno importanti del fine ultimo
da conseguire, sul quale anch'Ella concorda. Gradisca sempre cordiali saluti e i
migliori auguri di Buon Natale."
Il 18 dicembre avevo scritto anche all'ing. Leita. "Egregio Ingegnere,
scrivendoLe potrei anche far torto alla Sua memoria, se Lei è in buona fede. E'
documentabilissimo che io ho sempre sostenuto la causa dell'Università
friulana, fin dalla fine del 1965. Quella causa ho sostenuto e sostengo non ,
però, per il gusto semplicistico di opporre il campanile di Udine a quello di
Trieste. A questo proposito La rimando agli atti consiliari del Consiglio
Regionale del Friuli-Venezia Giulia, dal maggio 1968 all'aprile 1973. Se ciò
non Le basta, la invito a rileggere (o a leggere per la prima volta, ma allora
si dimostrerebbe poco informato) un articolo comparso sul "Corriere del
Friuli" il 31 luglio 1974 (quindi non ieri l'altro). Quanto ai 'baroni' e
ad altre insinuazioni, Le dirò - in tutta confidenza - che ho fatto il callo a
un simile tipo di aggressione e quindi Lei non ha neppure il tenue merito di
essere originale. Ad ogni buon conto sono a Sua completa disposizione per
dimostrarLe, documenti alla mano, che Lei ha mentito attribuendomi posizioni che
non ho mai assunto. Per le insinuazioni, spetta a Lei fornire le prove. La
invito a farlo come e quando vuole. Distinti saluti."
Mi rispose il 21 dicembre l'ing. Leita. Riporto solo la conclusione della sua
lettera:" Preferisco scusarmi se ho espresso male il mio pensiero e sperare
che voglia continuare a dare il Suo prezioso appoggio al COMITATO anche se ha
adottato una linea da Lei non pienamente condivisa."
Avvertendo che questi documenti sono depositato presso l'archivio di Stato di
Udine, a disposizione di chi volesse confrontarli, dichiaro che mi è pesato
parecchio scrivere di questo marginale episodio. Ma mi è toccato rispondere non
tanto al prof. Petracco, che non può leggere queste righe, ma ai due curatori
del suo postumo volume, al rettore dell'Università di Udine, prof. Marzio
Strassoldo e al presentatore dott. Marino Tremonti.
Ritengo che una accurata revisione del testo avrebbe evitato che io apparissi
come l'unico "disertore" dal comitato (pag. 131 - "Avendo poi
ripetuto la sua decisione per lettera, uscì definitivamente dal Comitato,
nella cui storia ventennale fu quella l'unica defezione dichiarata."). Ci
furono, dunque, altre defezioni di fatto, ma si punta il dito solo nei confronti
di chi ebbe motivo di andarsene e lo fece non disertando, ma dimettendosi.
Agli stessi curatori, rettore e presentatore, non posso fare a meno di
contestare l'opportunità di aver dato spazio a spunti polemici del Petracco
contro di me e contro Ellero (per articoli sul "Corriere del
Friuli" e su "Friuli sera" ecc.). E' chiaro che i grandi meriti
del presidente del comitato risultano oscurati dalla sua manifesta acredine per
chi aveva osato esprimere critiche e anche dissensi per certe prese di
posizione. Bisognava essere tutti d'accordo, lodare e incensare.
Perché - al di là degli indubbi meriti di Petracco e di tutti quelli che si
sono battuti per l'università (noi compresi) - resta da dare una riposta
a questa domanda: la raccolta delle firme sulla proposta di legge di iniziativa
popolare avrebbe avuto lo stesso successo nello stesso tempo impiegato se non
fossero sopravvenuti i sismi del 6 maggio e 15 settembre 1976? E c'è un' altra
domanda che legittimamente va posta: siamo certi che la riposta del Parlamento
della Repubblica sarebbe stata così sollecita se non vi fosse stato tutto un
lunghissimo periodo preparatorio, iniziato ben prima della nascita del comitato
e non portato avanti solo dal comitato, risposta principalmente propiziata dalla spinta
emotiva derivante dal terremoto, sicché la concessione dell'università al
Friuli fu più una sorta di atto compensativo per i morti e per le
distruzioni che il riconoscimento pronto di una richiesta popolare che reclamava
un diritto?
E con queste domande - alle quali siamo naturalmente incapaci di rispondere -
poiché per il Friuli ci siamo successivamente occupati anche di altri
argomenti, come vedremo, sull' università e sul libro di Petracco abbiamo
concluso.
Dobbiamo solo ricordare che continuammo a interessarci dello sviluppo della
istituita università, sia dalle colonne del "Corriere del Friuli",
sia da quelle di "Friuli sera" (fino al maggio 1978, perché allora
morì il suo animatore Alvise De Jeso e il giornale morì con lui).
Proprio il "Corriere del Friuli" organizzò, il 23 gennaio 1981, un
dibattito nell'aula magna della scuola media "Manzoni", a Udine,
dibattito sul tema "L'università di Udine a 3 anni dall'istituzione:
problemi e prospettive". Intervennero i giornalisti de "Il
punto", "il Gazzettino", "Messaggero Veneto", "Rdf",
"La vita cattolica", "Voce Isontina" (di Gorizia). In sala
l'on. Baracetti, il sindaco di Udine Candolini, Vittorio Tiburzio, assessore
socialista del Comune di Udine del quale avremo modo di parlare più
avanti.
Dopo il terremoto; la legge per la
ricostruzione (8.8.1977);
le due prime proposte di legge per la salvaguardia e valorizzazione
della lingua e della cultura friulana.
I friulani, come gli altri italiani, votarono mentre ancora la
terra era scossa dai sismi. Baracetti, dimessosi da consigliere regionale, fu
eletto deputato. Si cominciò a discutere in Parlamento il testo di quella che
sarebbe diventata, l' 8 agosto 1977,
la legge n. 546 per la ricostruzione del Friuli che conteneva anche l'articolo
che istituiva l'università di Udine. Sicuramente, relativamente a questo
argomento, ebbe grande importanza anche la raccolta di firme organizzata e
portata avanti dal comitato presieduto dal prof. Tarcisio Petracco.
Ma, senza nulla togliere agli altri parlamentari friulani, protagonista fu
sicuramente Arnaldo Baracetti. A lui si deve - è risaputo - il testo
dell'articolo nel quale si indicano gli indirizzi che l'università di Udine
avrebbe dovuto seguire. Per la prima volta nella legislazione della Repubblica
la lingua e la cultura friulana facevano il loro ingresso ottenendo così un
primo, sia pure indiretto, riconoscimento.
Ma Baracetti intendeva andare oltre. Ci scriveva il 7 maggio 1977: "Caro
Gino, ti faccio avere copie della prima bozza di legge - tuttora perfettibile -
per la valorizzazione della friulanità. Tra pochi giorni avremo pronta anche la
relazione (bozza) che l'accompagna e poi procederemo ad un ampio dibattito
interno ed alla raccolta di valutazioni e di arricchimenti. Cercherò anche
firme di parlamentari friulani di altri partiti. Sarò molto lieto di conoscere
le tue valutazioni. La legge puoi discuterla anche con altri.Grazie ed
arrivederci."
Come si vede, Baracetti procedeva con decisione, intanto all'interno del Pci,
già prima della approvazione della legge 546.
Questo spiega il "taglio" che darà al testo della legge, delineando
i compiti della nascente università.
La nostra amicizia risaliva agli anni giovanili (anche se allora eravamo
su posizioni decisamente contrapposte); si era fortificata - dopo un primo
periodo di scontri anche vivaci - negli anni del Consiglio regionale; poi, anche
attraverso il "Corriere del Friuli", dopo la mia uscita da quella
assemblea era diventata più forte. Frequentemente ci vedevamo, nelle prime ore
del mattino, nella sede del Pci di viale Duodo per discutere di questi
argomenti. Anche Gianfranco Ellero - come si vedrà - era partecipe di questi
progetti.
Il 9 luglio, altra lettera di Baracetti. " Mi permetto di inviarTi, per
dovere d'informazione, il resoconto stenografico con gli interventi svolti alla
Camera sulla legge speciale e altro materiale attinente gli ultimi emendamenti
approvati in aula. Cordialmente." Era questa una lettera standard, battuta
a macchina e Baracetti, di pugno, l'aveva indirizzata "Per il fraterno
amico Gino Di Caporiacco" alla fine aggiungendo "e con tanta
stima".
Il 17 dicembre, altra sua lettera. "Caro Gino, anche per Gianfranco (ecco
che appare anche Ellero - n.d.a.), vi allego sia la copia della relazione che
della p.d.l. Con questi testi (approvati dal Gruppo parlamentare nazionale del
Pci) per decisione degli organi dirigenti locali e regionali del Pci si va al
dibattito pubblico, aperti a recepire proposte migliorative di studiosi, di
circoli culturali, degli altri Partiti e gruppi parlamentari.
Noi proporremo agli altri gruppi parlamentari di firmare assieme la proposta di
legge. Se però non fossero d'accordo noi, comunque, nel febbraio 1978, la
presenteremo da soli. Desidero, ancora una volta, ringraziare te e Gianfranco
della vostra battaglia di più anni che ha stimolato me ed il Pci ad andare
avanti su questa strada, come del concreto e prezioso contributo che ci avete
dato al miglioramento sia della relazione che della p.d.l. Sono sicuro che anche
ora darete un importante a che il dibattito vada avanti positivamente. Con tanta
stima e cordialità tuo e vostro Arnaldo."
Subito dopo l' 1 dicembre 1977 (non c'è la data) " Caro Gino, in via
ancora riservata, ti faccio avere il testo definitivo approvato dal Gruppo
parlamentare nazionale a Roma il 1°/12/77. Ciao."
Baracetti era convinto di avere la strada libera e quindi di poter presentare
alla Camera quella proposta di legge. Non aveva fatto bene i conti con la
ostinata opposizione dell'on. Alessandro Natta, allora suo capogruppo. A Natta,
evidentemente, quella proposta di legge non piaceva. E, per contrastarne la
presentazione, si aggrappava ad argomenti tutt'altro che trascurabili. Chiedeva:
dov'è l'effettivo interesse politico per questa iniziativa?; perché altri
deputati friulani dei vari partiti non se ne occupano?; il dibattito esterno al
Pci - che pure si era cercato di suscitare - ha dimostrato quelle calorose
adesioni che Baracetti e i suoi amici si aspettavano?
Perché così si era verificato: effettivamente in Friuli quella importante
proposta era stata accolta con molto scetticismo.
Dunque, per rompere il subentrato stallo, occorreva che a Baracetti fosse
offerto un argomento importante in sede parlamentare, un argomento che
dimostrasse a Natta che anche deputati di altri partiti, meglio se della
maggioranza, erano disponibili a presentare una analoga proposta di legge.
Chi scrive si guardò attorno. Pensò subito all'on. Martino Scovacricchi,
vecchio amico di famiglia, che era stato insegnante di italiano allo
"Zanon" della moglie Milvia, che nel Consiglio comunale di Udine, tra
il 1970 e il 1975, aveva più volte dimostrato di condividere certe nostre
impostazioni, genero di Tiziano Tessitori, il padre della Regione. Scovacricchi
era un autorevole esponente del Psdi, quindi della maggioranza. Avrebbe
accettato?
Scovacricchi accettò subito. Furono stesi a tamburo battente la relazione e
l'articolato; la proposta di legge venne depositata il 16 maggio 1978 con il numero 2187. Baracetti,
saltando da Natta, si appellò direttamente al segretario del Pci, Enrico
Berlinguer, che - essendo sardo - era più sensibile del capogruppo piemontese: ecco la prova dell'interesse politico
suscitato in Friuli. Berlinguer approvò eNatta fu costretto a dare via libera. La proposta di legge,
sottoscritta da Baracetti, Colomba, Cuffaro e Migliorini fu presentata il
24 maggio (8 giorni dopo!) e le fu dato il numero 2214.
Subito Baracetti mi scrisse: "Caro Di Caporiacco, ti accludo il testo della
p.d.l. presentata giovedì 25 alla Camera. Entro 8-10 giorni appena la
Tipografia di Montecitorio l'avrà stampata, ti farò avere la p.d.l. 'ufficiale',
Saluti fraterni."
Ma le due iniziative parlamentari finirono sostanzialmente nel cassetto.
Il 22 dicembre 1978, Baracetti mi scrisse: "Hai visto che abbiamo convocato
per il 19 gennaio un convegno sui problemi della legge e della cultura? Verrà
anche Giovanni Berlinguer. Bene il 'Corriere' ultimo. Ringrazio te e
Ellero."
Appare chiaro che nel Pci c'era chi si dava da fare con convinzione per
sostenere la propria iniziativa parlamentare. Il nostro "Corriere del
Friuli" cercava di dare una mano, ma era una voce abbastanza flebile e
isolata.
Finita la settima legislatura, le due proposte di legge, come di norma, decaddero.
Bisognò ripresentarle nuovamente.
Nel frattempo si stavano per svolgere, nella primavera del 1980, anche le
elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Udine. Baracetti mi propose di
essere candidato nella lista del Pci. Mi consultai, come sempre, con Gianfranco
Ellero. Era utile alla causa di quelle proposte che ci fosse anche chi le
sosteneva dal Consiglio comunale di Udine? Decidemmo insieme che era opportuno.
Fui eletto anche con un decente numero di voti di preferenza. Mi venne
irresistibilmente da ridere ripensando a quell'articoletto malvagio apparso sul
quotidiano del Pci in estate del 1972 ("Un portatore d'acqua della Dc")
e agli attacchi che avevo dovuto subire anche all'interno del Consiglio da parte
di colleghi di quel partito che adesso mi aveva messo in lista e fatto eleggere.
Baracetti, questa volta ottenendo che la proposta fosse sottoscritta anche da
Spagnoli, Giovanni Berlinguer, Ferri, Casalino e Virgili, presentò
sollecitamente la proposte di legge, il 14 maggio 1980. Ebbe il numero 1678.
Scovacricchi, senza bisogno di sollecitazioni, era pronto a ripresentare
anche lui la sua proposta di
legge. Alquanto sorpreso che fossi stato candidato eletto nella lista del Pci,
mi scrisse sul retro dello stampato parlamentare che la precedente proposta:
"Roma, 11.6.1980 - Caro Gino, ho seguito la tua vicenda elettorale, che ho
interpretato come una volontà di servizio per realizzare dei fini che hai
sempre perseguito. Sono pronto a ripresentare la pdl e ti prego, se ne avrei
ancora la pazienza, di indicarmi gli aggiornamenti che dovrò apportare. Un
saluto affettuoso anche a Milvia." Così la ripresentò.
Il 22 agosto fu pubblicato su "Rinascita" (n. 33, pag. 16) un
importante contributo di Tullio De Mauro (attualmente - dicembre 2000 - Ministro
della pubblica istruzione, intitolato "Le nazioni proibite" che così
si concludeva: "Nel suo ultimo congresso, il Partito comunista italiano ha
deciso di scrivere a chiare lettere, nella premessa generale al suo Statuto, che
considera suo compito generale la lotta per affermare i diritti delle minoranze
linguistiche e nazionali. Ma, come mostra l'esempio di Gaetano Arfè, anche il
partito socialista è interessato a ciò, a parte parecchi gruppi e movimenti
locali di ispirazione democratica. E la Chiesa è impegnata in prima linea tra
albanesi di Sicilia, zingari, friulani. Forse, per le minoranze (o per la
maggioranza?) sta per venire la volta buona."
I socialisti Sacconi, Labriola, Francesco Forte. Fiandrotti, Mario Raffaelli,
Fortuna, Andò, Casalinuovo, Marte Ferrari presentarono il 24 ottobre una
loro proposta di legge (n. 2068) indicando come soggetti di tutela "le
comunità d' origine tedesca, francese, catalana, slovena, croata, albanese,
greca, occitano-provenzale, ladina, ladina-friulana..."
Mi proposi che la mia attività in Consiglio comunale di Udine sarebbe stata
particolarmente indirizzata a far pervenire a Roma segnali che quelle proposte
di legge dovevano essere discusse e approvate.
Era ancora sindaco Angelo Candolini con il quale, anche a beneficio della
platea che molto mostrava di divertirsi, ebbi vibranti scontri ma con il quale,
a poco a poco, si instaurò una fattiva collaborazione e anche una sincera
amicizia.
Il 4 febbraio 1981 un gruppo di deputati del Pci presentò la
proposta di legge n. 2318 "Norme di tutela delle minoranze
linguistiche." Era un ampliamento del tema riguardante solo il
friulano.
In quei giorni la "Lega democratica", movimento dei cattolici
democratici, aveva tenuto a Udine un convegnio nazionale sul tema "Le
minoranze linguistiche in Italia: comunità etnico-linguistiche non tutelate e
Stato democratico". Su "' Unità" fu pubblicato, l' 8 febbraio,
un mio commento nel quale scrivevo che "mentre la tesi di Galloni è
apparsa quella di arrivare al più presto all'approvazione di una legge quadro che sostanzialmente identifichi le
minoranze e poi provveda per esse (.) la tesi di Bressani si attesta su un 'no'
deciso alla legge quadro e su fumose argomentazioni di autodiversificazione (n.r.a.
- trattasi di un refuso: intendevo "autodeterminazione") delle
minoranze." Concludevo: "Insomma, poiché principalmente di lingua si
parlava, ai convenuti è apparso chiaro che nella DC sta accadendo quanto
accadde a Babele. Le 'lingue' sono assai diverse e c'è solo da sperare che i
democratici cristiani della provincia di Udine e di tutto il Friuli riescano
presto a capirsi, anche per farsi capire."
Non so se prima o subito dopo questo articolo comparve, sul "Corriere del
Friuli" che è datato Gennaio 1981, un altro mio pezzo intitolato
"Così parlò Bressani". Era un attacco violentissimo e - anche
riletto a distanza di tempo - persino ingiurioso.
Il parlamentare era allora Sottosegretario di Stato e l'articolo così si
concludeva: "Sì, effettivamente l'on. Bressani è di una linearità
esemplare, come la fillossera che distruggeva le nostre vigne o la pebrina che
falcidiava gli allevamenti dei nostri bachi da seta." Avessi scritto così
di altri (mettiamo di Petracco, per fare un esempio) quanto se la sarebbero
questi legata al dito? Vedremo subito che, invece, Bressani si dimostrò uomo di
tutt'altra pasta.
Il nostro "Corriere del Friuli" stava per assumere un ruolo importantissimo..
Per cercare di trarre dalle secche le proposte di legge che si occupavano anche
del tema della difesa e valorizzazione della lingua e della cultura friulana
(scrivo "anche" perché il tema, in Parlamento, allora interessava
pure altre minoranze linguistiche storiche, come si è visto), organizzammo il 20
febbraio 1981 un incontro (l'annuncio era pubblicato accanto all'attacco
a Bressani), tenutosi nell'aula magra della scuola media "Manzoni", sul
tema "Lingua e cultura friulana in cinque proposte di legge" (tante
erano quelle che ci risultavano presentate alla Camera; una era dei
radicali che non riuscimmo a contattare).
Partecipanti i deputati Fortuna (Psi), Scovacricchi (Psdi), Gruber Benco (Lista
per Trieste) e Baracetti (Pci). Erano andati a vuoto tutti i tentativi di
coinvolgere l'on. Bressani (Dc) che era incaricato dal suo partito di occuparsi
dell'argomento, ma anche perché i democristiani non avevano ancora presentato
una propria proposta di legge.
Bisognava utilizzare anche il Consiglio comunale di Udine per fare
pressione sul Parlamento. Previo accordo con il sindaco Candolini e con tutti i
gruppi consiliari (il solo gruppo del Msi-Dn dichiarò di non voler votare a
favore, ma lealmente si astenne), venne redatto questo documento: "Il
Consiglio comunale di Udine, preso atto che gruppi politici e singoli
parlamentari hanno - con diverse iniziative legislative - proposto al Parlamento
della Repubblica provvedimenti che si propongono l'obiettivo di tutelare culture
locali, tra le quali quella friulana; tenuto conto che ciò avviene per dare
concreta attuazione ai dettati costituzionali (art. 6 della Costituzione e art.
3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.1); considerato che le
peculiarità della lingua e della cultura friulana sono state esplicitamente
riconosciute dalla legge 8 agosto 1977, n. 546, allorché si è stabilito che la
ricostruzione del Friuli deve avvenire 'nella salvaguardia del patrimonio etnico
e culturale delle popolazioni (art. 1) e che (art. 26) l'Università di Udine
deve essere 'organico strumento di sviluppo e di rinnovamento dei filoni
originali della cultura, della lingua, delle tradizioni e della storia del
Friuli', nonché di altri provvedimenti legislativi (D.P.R. 6 marzo 1978, n.
102); fa voti affinché il Parlamento della Repubblica sollecitamente discuta le
proposte di legge di iniziativa parlamentare finora presentate, auspicando nel
contempo che altre forze politiche, democratiche e popolari, che in Friuli
raccolgono i consensi elettorali, presentino loro proposte legislative
sull'argomento (n.d.a. - era evidente l'appello alla Dc), sicché il parlamento
possa approvare una legge che raccolga il massimo consenso popolare e politico e
tanga conto anche degli altri gruppi e comunità presenti in Friuli.
Al fine di manifestare con un atto simbolico la ferma volontà del Consiglio
comunale di Udine per la salvaguardia e la valorizzazione della cultura e della
lingua friulana, anche attraverso opportune iniziative per un ampliamento degli
spazi di fruizione, al testo in lingua italiana viene allegato il testo in
lingua friulana." Era il 29 maggio.
L'on. Bressani, come anticipato, non aveva preso cappello per le mie critiche. Anzi.
Aveva cominciato ad intrattenere cordiali rapporti con me, sicché, il 3
settembre 1981, mi scrisse questo biglietto: "Caro Di Caporiacco, in una
tavola rotonda che si è tenuta a Trento nell'ambito della Festa nazionale
dell'amicizia, organizzata dalla DC nazionale, ho fatto un intervento che,
forse, le può interessare; esso riflette lo scambio di opinioni che abbiamo
avuto a margine del congresso dell'ANCI. Si è trattato solo di premesse, da cui
partire per qualche iniziativa concreta. Cordialmente."
Il 1982 registrò una svolta importante. Fortuna aveva assunto il compito di
fare il relatore delle numerose proposte di legge (erano diventate 13), tra le
quali - riguardanti specificatamente il Friuli - la n. 1678 firmata da Baracetti
e altri e la n. 1881 firmata da Scovacricchi.
Loris Fortuna, l'uomo del divorzio e
dell'aborto, grazie alla costante azione di Vittorio Tiburzio, suo compagno di
partito e assessore del Comune di Udine, aveva a lungo riflettuto prima di
decidersi a sposare
un'altra grande battaglia per i diritti civili: quella della difesa e
valorizzazione delle minoranze storiche.
Le due prime proposte di legge del 1978 non erano riuscite a fare passi in Parlamento
anche perché non si era trovato un parlamentare di spicco che avesse assunto la
funzione di relatore; pure quelle - più numerose, come si è visto - presentate
nella successiva legislatura rischiavano di fare la stessa fine. Tiburzio aveva
attivamente lavorato per convincere Loris Fortuna ad assumersi l'onere di fare
il relatore, facendo poi pesare tutta la sua autorevolezza nei lavori
parlamentari.
Fortuna, prima di decidersi, ci parlò schiettamente. Si fosse trattato solo del friulano, non
avrebbe accettato. Un uomo fatto per grandi battaglie si giudicava inadatto a sostenerne una, tutto sommato, limitata. Ma se si fosse
trattato di sostenere le ragioni di tutte le minoranze storiche presenti nel
territorio della Repubblica italiana, allora sì: sarebbe sceso in campo. Fu
questa una svolta decisiva. Pur se avrebbero dovuto trascorrere ancora ben 18
anni e nonostante la morte di Fortuna avvenuta nel 1985, si era imboccata la
strada che ci avrebbe condotti alla legge di tutela.
Il "Messaggero Veneto" del 4 marzo annunciava (con sicuramente una
punta di ottimismo, dato che avrebbero dovuto trascorrere ancora 18 anni!)
"Alla commissione affari costituzionali della Camera - Intervento di
Bressani - VIA LIBERA ALLA LEGGE SULLA TUTELA DELLA COMUNITA'
ETNICO-LINGUISTICHE". Fortuna (al quale il giornale dava poco spazio,
dedicandone molto di più a Bressani) aveva svolto la relazione preliminare.
L' 8 ricevetti un biglietto dall'on. Bressani: "Caro Di Caporiacco, eccole
il resoconto delle due sedute di commissione dedicate al problema delle
minoranze. Confermo la mia disponibilità per l'iniziativa che può essere utile
a chiarire le idee anche a noi deputati. Cordialmente."
Qual era l'iniziativa alla quale si riferiva Bressani?
Un altro passo decisivo fu compiuto, sempre grazie ad una iniziativa del
"Corriere del Friuli" (cioè di Gianfranco Ellero e mia, perché il
nostro giornali era tutto lì!), 11 mesi dopo: il 26 marzo 1982. Nella saletta
sotto il municipio di Udine si svolse una riunione sul dibattito avviato in
Parlamento. Relatori i deputati Fortuna, Bressani, Baracetti. Ecco l'iniziativa
alla quale Bressani aveva dato l'assenso, ritenendola utile .
Dunque, eravamo riusciti a mettere dietro uno stesso tavolo rappresentanti dei
tre più grandi partiti. Anche la Dc, pur con eccessiva prudenza e finalmente,
si era mossa. Non va sottovalutato l'apporto di Candolini che, democristiano
moroteo come Bressani, aveva spinto molto, consentendoci in Consiglio comunale
di far approvare importanti documenti di appoggio all'iter
parlamentare.
Infatti, con tempestività degna di una accorta regia, 14 giorni prima il
Consiglio comunale di Udine aveva approvato un altro documento, nel quale
"ricordato il voto espresso il 29 maggio 1981, tenuto conto che la Camera
dei Deputati ha iniziato la discussione sulle proposte di legge che tendono a
salvaguardare le radici della lingua e della cultura friulana, esprimendo la
propria soddisfazione, impegna la Giunta a portare a conoscenza del Presidente
della Camera, del Presidente della Commissione Affari Costituzionali, del
relatore onorevole Loris Fortuna e dei componenti la commissione ristretta
questo voto del Consiglio comunale di Udine, per tutto il Friuli, espresso in
lingua italiana e in lingua friulana." Seguiva la traduzione in friulano.
Firmarono il documento chi scrive, Giulio D'Andrea (Pci), Gianni Renzulli (Psi),
Roberto Iacovissi (Mf), Bruno Cadetto e Giorgio Vello (Dc), Aldo Ariis (Pli),
Vincenzo Ilardi (Psdi). Fu votato da tutti i gruppi salvo che dal Msi-Dn che -
forse dimentico della precedente astensione - votò contro.
Se ci fermiamo un momento a riflettere, possiamo fin qui concludere che quei
solitari documenti (quegli, per qualcuno, "inutili ordini del
giorno") che furono da noi presentati in Consiglio regionale, a
partire dal 1969, avevano - a questo punto- sortito due effetti: aver aiutato
l'istituzione dell'università di Udine e aver posto le premesse per
l'approvazione, in un giorno ancora lontano, della legge di tutela delle
minoranze storiche.
Non avevamo sprecato il nostro tempo.
Baracetti, che era intervenuto il 27 luglio 1982 nel dibattito alla
Camera sulla seconda legge per la ricostruzione del Friuli terremotato
(legge 11.11.1982, n. 828), mi mandò un biglietto, il 2 agosto: " Caro
Gino, ti invio il testo del mio intervento alla Camera fatto nella discussione
generale sulla 546 bis. Come vedi, avevo presente te, Ellero e la figura politica
di Schiavi. Grazie ancora. Mandi." A me suonò particolarmente gradito quel
riferimento a Schiavi perché stava a significare che quella sua anche irruente
presenza, pur se breve, in Consiglio regionale aveva lasciato un grande segno.
E Baracetti aveva detto, in quel suo intervento:" Ecco quindi la ragione
dell'istituzione dell'Università di Udine - nel 1977; ecco la ragione della
presenza in questa legge di ulteriori misure per il suo potenziamento. Ecco la
ragione per cui in altra Commissione della camera dei Deputati si è avviato
l'esame di proposte di legge, tra cui quelle del PCI, che finalmente
permetteranno di tutelare e valorizzare la lingua e la cultura friulane, assieme
alle altre lingue minori, in base a norme che la Costituzione della Repubblica
da ben 35 anni prevede!"
Anche Fortuna, intervenendo sulla fiducia al nuovo governo Spadolini, all'inizio
di settembre, non trascurò di sollecitare l'approvazione "di una legge
quadro che disciplini la tutela e la valorizzazione delle lingue minoritarie
come quella friulana, sarda e altre" ("Messaggero Veneto" del
2.9.1982).
Ma dovevano ancora passare gli anni. La successiva legislatura riaffronterà
questa tematica. Ma il nostro lavorio per cercare di ampliare il consenso non
cessava.
Il 12 luglio 1983 (nona legislatura), Baracetti, Spagnolli, Polesello,
Gasparotto, Cuffaro, Ferri e Virgili avevano presentato una proposta di legge
avente il titolo "Norme per la valorizzazione della lingua e della cultura
friulane" (le fu assegnato il n. 68); Scovacricchi aveva anche lui
presentato un'altra proposta avente
il titolo "Provvedimenti per lo sviluppo della cultura, della lingua e
delle tradizioni del Friuli" (n. 350).
Il 5 aprile 1984 ci scrisse l'on. Bressani: " Caro di Caporiacco, la
ringrazio per avermi antecipato le sue osservazioni sul mio emendamento, prima
che apparissero sul Corriere del Friuli. Come lei sa, più che di un emendamento
formale si è trattato di un contributo offerto, nell'ambito dei lavori del
comitato ristretto, all'elaborazione di un testo unificato. Sui medesimi
concetti ho avuto occasione di ritornare, in modo meno informale, in una seduta
di commissione. Dal resoconto sommario, che qui unisco, avrà modo di rilevare
che su quei criteri di massima si è registrato un'ampia convergenza politica (Virgili
è comunista, Tassi del Msi, Ferrara indipendente di sinistra) che consente al
comitato ristretto di riprendere la sua attività su una base più solida.
Cordiali saluti."
I lettori consentano che si sottolinei la grande funzione che ebbe in quegli
anni il "Corriere del Friuli", foglio modesto fin che si vuole,
indigesto a qualcuno, come il prof. Petracco che scambiò critiche che volevano
essere costruttive per attacchi personali, ma che - anche per essere inviato
gratuitamente a chi faceva politica, al clero, alle istituzioni e agli
uomini di cultura, ebbe una notevole influenza finché ci fu possibile tenerlo
in vita nelle nostre mani (successivamente passò all'editore Chiandetti che
diede alla testata diversa impostazione).
Loris Fortuna presentò alla commissione affari costituzionali, il 6 febbraio
1985, un nuovo testo coordinato.
Il 20 aprile il "Messaggero Veneto" titolò: "Sì della
commissione Affari costituzionali della Camera - A favore Dc, Psi e Pci;
contrari Pri, Pli e Msi - LINGUE MINORI: PRIMO TRAGUARDO". Il quotidiano
pubblicava fotografie e dichiarazioni di Fortuna, Bressani e Baracetti;
dimenticava Scovacricchi e il suo partito che pure era favorevole.
Il 3 luglio veniva depositata una corposa relazione per la maggioranza, firmata
da Loris Fortuna, in seno alla prima commissione permanente della Camera. Le
proposte di legge prese in esame erano 11.
Ci si avviava alla discussione in aula.
Con le elezioni amministrative, chi scrive era uscito dal Consiglio comunale di
Udine tornando definitivamente ad essere semplicemente un cittadino. Era stato
rieletto sindaco Angelo Candolini e Loris Fortuna aveva fatto il suo ingresso in
quell'assemblea. Ma entrambi morirono in rapida successione.
Anche a causa della scomparsa di Fortuna, che della legge era il relatore di
maggioranza, bisognò attendere il 5 marzo 1986 perché, alla
comunicazione dell'ordine del giorno trimestrale dei lavori della Camera,
Baracetti si accorgesse che - contrariamente agli accordi - l' argomento non era
tra quelli dei quali era prevista la discussione. Protestò anche Francesco De
Carli (Psi) che ricordò "la magnifica relazione predisposta dal compianto
onorevole Fortuna."
Finalmente, il 17 dicembre, si iniziò la discussione. L'onorevole Silvano
Labriola, anche lui socialista e presidente della prima commissione, aveva
assunto il ruolo di Fortuna; relatore di minoranza era l'onorevole Pazzaglia del
Msi.
E questo gruppo parlamentare iniziò subito il fuoco di sbarramento. Presentò,
infatti, 2 eccezioni di costituzionalità e una pregiudiziale, proponendo di non prendere in esame
il provvedimento legislativo. Ottenne il rinvio della discussione.
Questa poté essere ripresa il 5 febbraio 1987. Parlarono gli
onorevoli Gianfranco Fini, Gastone Parigi (pordenonese, il quale si riferì ad un
"circolo male intenzionato che si nasconde dietro il 'Messaggero Veneto' di
Udine, diretto da Vittorino Meloni"), Giuseppe Rauti. Le questioni
pregiudiziali di costituzionalità firmate da Almirante e da Fini furono votate:
favorevoli 56; contrari 327. Quella pregiudiziale di merito firmata da
Pazzaglia ottenne 49 voti; 335 furono i voti contrari.
La discussione poté avere inizio (il 17 febbraio parlò Scovacricchi). Fu un
momento importante ma la nona legislatura era alla fine. Bisognerà aspettare la
decima.
La decima legislatura si aprì il 2 luglio 1987 e Scovacricchi
ripresentò subito la sua proposta di legge, che fu firmata anche dal
socialdemocratico Romita, "Norme in materia di tutela delle minoranze
linguistiche", alla quale fu assegnato il n. 400.
Il 21 luglio fu la volta dei deputati del Pci Zangheri, Fachin Schiavi, Pascolat,
Gasparotto, Bordon, Bianchi Beretta, Petrocelli, Vacca, Samà, Soave, Ferrandi,
Cicerone, Cherchi, Sanna, Monello, Rodotà, Bernocco, Garzanti, Bertone,
Bassanini, Diaz, Guerzoni, Felissari, Boselli, Turno, Mannino Antonino, Testa
Enrico, Minucci, Levi Baldini, Bonfatti Paini che depositarono una proposta di
legge avente identico titolo e alla quale fu assegnato il n. 1111.
Silvana Schiavi Fachin, Renzo Pascolat, Isaia Gasparotto erano i tre nuovi
deputati friulani che continuavano la battaglia iniziata e portata avanti dai
loro predecessori.
L'onorevole Silvano Labriola (che, insieme a Teodori, Giacomo Mancini, Rutelli,
Alagna, Faccio, il friulano Gabriele Renzulli, Zavettieri, Amodeo,
Barbalace aveva presentato una analoga proposta il 7 luglio) riprese
il suo ruolo di relatore riuscendo a portare all'approvazione dell'aula il
provvedimento.
Aveva predisposto la relazione della prima commissione permanente il 20
gennaio 1988 sulla base di 11 proposte di legge. La relazione non aveva
potuto tener conto della proposta di legge n. 2074, presentata il 16 dicembre
dai deputati Danilo Bertoli e Soddu della Dc. A Danilo Bertoli, friulano, era
toccato finalmente di presentare una proposta di legge che ricalcava in gran
parte la strada già tracciata dall'on. Bressani.
In Friuli, anche da parte dei partiti di destra, vi era ormai la consapevolezza
che la legge andava approvata. Restava l'opposizione ferma della destra a
livello nazionale.
Passavano i mesi e gli anni. Il 24 ottobre 1991 innanzi alla prima
commissione della Camera riunita in sede redigente (cioè per licenziare il
testo da trasmettere all'aula), il presidente Labriola - che era anche relatore
- riuscì, superando l'accanita opposizione dei deputati del Msi-Dn ai
quali s'erano uniti il triestino Camber (allora della Lista per Trieste) e il
repubblicano Del Pennino, a far licenziare il testo legislativo. Che poi la
Camera approvò. Ma ormai anche la decima legislatura era al termine.
Per dare a Cesare quel che è di Cesare aggiungiamo una testimonianza personale.
Si afferma comunemente che fu Spadolini, allora presidente del Senato, a fare in
modo che la proposta di legge non fosse messa all'ordine del giorno dei lavori
di palazzo Madama e che quindi la colpa della sua non discussione e approvazione
durante la decima legislatura gli vada ascritta.
Noi possiamo testimoniare che, tramite il suo segretario personale, un friulano,
riuscimmo a parlare con Spadolini durante una sua breve visita a Udine. Ci
accolse molto cordialmente e ci disse che lui, repubblicano storico, non era
certo d'accordo con quella proposta di legge, ma ci assicurò che non avrebbe
fatto nulla per ostacolarne l'approvazione. "Se i capigruppo favorevoli
insistono, verrà posta all'ordine del giorno", disse. Si vede, dunque, che
questi non insistettero abbastanza.
Bisognò però attendere, tra speranze e timori, la dodicesima
legislatura.
Un numeroso gruppo di deputati del Pds (ex Pci) presentò, il 16 giugno 1994,
la proposta di legge n. 709 "Norme in materia di tutela delle minoranze
linguistiche". Primo firmatario Corleone, ultimo firmatario (ma pensiamo
solo per modestia) il friulano Elvio Ruffino.
Il 18 maggio 1995 le proposte di legge abbinate n. 74 (Scalia), n.
162 (Brunetti) e 709 (relatore Franco Corleone) finirono all'ordine del giorno
della prima commissione e il relatore riassunse le vicende di analoghe proposte
che erano state presentate fin dalla settima legislatura (disse ottava, ma si
sbagliò). Si riferì al testo unificato che era stato precedentemente
elaborato. Iniziò quel giorno il (finalmente) ultimo cammino che porterà
all'approvazione della norma da parte della Camera.
Il 25
novembre 1999 (giorno di santa Caterina) il Senato approvò definitivamente
(relatore il senatore Besostri dei Ds) la norma che il 15 dicembre, nonostante i tentativi sconsiderati da parte di
alcuni di fare pressioni sul Presidente della Repubblica Ciampi perché non la
promulgasse, è diventata la legge 482/1999.
Se ci siamo dilungati a ricordare la lunga strada cominciata nel 1978, dopo che
dal 1969 qualcuno aveva cercato di tracciare il sentiero, così brevemente
concludiamo, confidando che i fatti recenti siano ancora nella memoria di chi ci
legge.
Tanti hanno propiziato il difficile cammino di questa legge. Tra loro,
sicuramente, una menzione particolare spetta ad Arnaldo Baracetti che, fino a
far superare al provvedimento legislativo gli ultimi ostacoli, si è sempre
prodigato. E di questo noi intendiamo essere obiettivi - e anche grati -
testimoni.
I documenti inediti qui citati si trovano nella busta 17A del mio archivio presso l'Archivio di Stato di Udine e sono di libera consultazione dal 2001.
Si legga la pagina seguente: "Toponomastiche
furlane" (I cartelli stradali
in friulano).